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Intanto c'è un equivoco di fondo, che sarebbe bene cominciare a sfatare. Cristiano e occidentale non sono esattamente sinonimi, come ci ricorda lo stesso papa, sempre più preoccupato della da lui temuta scristianizzazione del nostro mondo, e come ci testimoniano le idee illuminista e socialista; così come non sono sinonimi musulmano e orientale, come ci dimostrano proprio i copti e il diffondersi, pur con difficoltà, delle idee laiche e democratiche anche in quei paesi. Eppure in tanti fanno in modo di alimentare questo equivoco, per tener vivo un conflitto che costituisce per alcuni la base del proprio potere e delle proprie ricchezze.
In questi giorni non sono mancati naturalmente gli attestati di solidarietà ai copti, soprattutto da parte di chi - vedi il nostro cosiddetto governo - fino all'altro ieri non sapeva nemmeno che esistessero i copti e faceva - e fa - ottimi affari con un leader antidemocratico come Mubarak, che non ha certo difeso quella minoranza. Ma, ormai è chiaro, ogni occasione è buona per baciare qualche anello cardinalizio.
A me piacerebbe partire da un punto di vista diverso, per evitare le soliti contrapposizioni. La vicenda di Alessandria mi ha fatto riflettere su quanto sia difficile essere una minoranza, anche quando, come nel caso dei copti, si vive da secoli nel proprio paese. Nulla, se non le convinzioni religiose, distingue un egiziano musulmano da un egiziano copto, hanno la pelle dello stesso colore, parlano la stessa lingua, sono nati nello stesso luogo. Così come nulla distingueva gli ebrei nella lunga storia della loro persecuzione, se non i pregiudizi dei gentili. Gli egiziani copti hanno assistito alla graduale diminuzione degli spazi, anche fisici, per esprimere la propria fede; poi è stato sempre più difficile per loro avere ruoli nella vita politica, economica, culturale.
Non è facile capire come deve sentirsi chi diventa sempre più straniero nel paese in cui è nato, in cui sono nati i suoi genitori, in cui sono nati i suoi nonni e così via. Pensiamo allora come deve sentirsi chi è straniero davvero, chi ha un colore di pelle diverso, chi parla un'altra lingua, quando si trova a essere minoranza in un paese, la cui maggioranza gli è, più o meno esplicitamente, ostile. Proviamo a partire da qui, da questa doppia idea di minoranza, per cominciare a sconfiggere le pulsioni, sempre latenti, del conflitto. L'occidente può indignarsi con diritto per le condizioni dei cristiani nei paesi a prevalenza musulmana e può condannare gli attentati che essi subiscono, soltanto se è capace di esprimere lo stesso sdegno e di mobilitarsi con la stessa tensione civile, quando a essere vittime sono i musulmani nei loro e nei nostri paesi. Il clima di conflitto si sconfigge eliminando la sfiducia generalizzata verso l'islam, che è diventata ormai maggioritaria negli Stati Uniti e in Europa, sfiducia che sentono sulla propria pelle i musulmani che vivono tra di noi, impegnati con complessi meccanismi di integrazione, e che spesso si vedono negare il diritto di avere luoghi dove esprimere la propria fede.
Importante è non considerare il conflitto come un fenomeno irreversibile e provare, quando si è maggioranza, provare a vedere le cose che ci stanno intorno con gli occhi di chi è minoranza.
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