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Dopo giornate come quelle di ieri e di oggi, credo sia sempre più indispensabile cercare di sviluppare gli anticorpi contro la cattiva politica. Per questo motivo non voglio commentare né lo spettacolo messo in scena dalla maggioranza tra Roma e Lampedusa, con contorno di frasi razziste contro immigrati e portatori di handicap, né il mortificante e avvilente silenzio della sinistra, che non riesce a dire una parola su quello che succede nel mondo. Anche nei suoi ultimi interventi mi sembra evidente lo sconforto e lo sgomento del presidente Napolitano, che è un uomo di altri, con una certa idea e un grande rispetto delle istituzioni ed è un intellettuale che ha vissuto l'esperienza del Pci. Si dice che la moneta buona scaccia quella cattiva e allora proviamo a fare un'azione di resistenza: parliamo di politica, di quello che dovrebbe essere e non di quello che è. Io ci voglio provare, nel mio piccolo.
Non è insolito che un poeta riesca a capire meglio di altri - anche meglio dei filosofi, che dovrebbero capire, per definizione - quello che succede nel mondo. Guardando le immagini dei telegiornali, a cui - per nostra igiene mentale - dovremmo cominciare a togliere l'audio, mi sono venuti in mente due versi della canzone La storia di Francesco De Gregori
Quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare,
ed è per questo che la storia dà i brividi,
perchè nessuno la può fermare.
Ci sono momenti in cui davvero la storia mette i brividi. L'ho già scritto in altre "considerazioni", ma voglio ribadirlo ancora una volta: io ho sentito questi brividi della storia nell'89. Forse non è inutile ricordare che anche allora, pur se tutti i governi occidentali nelle dichiarazioni ufficiali enfatizzavano l'eccezionalità di quegli eventi, non pochi, nelle segrete stanze, erano preoccupati per un rivolgimento i cui esiti non erano prevedibili. Né Margaret Thatcher né François Mitterand, che pure incarnavano politicamente ed ideologicamente modelli ben diversi, erano ugualmente preoccupati della riunificazione tedesca. Gran Bretagna e Francia fecero allora la parte in commedia svolta nell'attuale frangente dalla Germania di Angela Merkel. La riunificazione tedesca, ossia l'evento più importante e significativo della storia europea della fine del secolo scorso, è figlia prima di tutto dello slancio, dell'entusiasmo, - direi perfino dell'incoscienza - dei tedeschi, un popolo che siamo più abituati a pensare come pragmatico e attento ai propri interessi (non è un caso che Realpolitik sia una delle poche parole tedesche entrate nel lessico delle altre lingue europee). Ora la Germania è una sola appunto per la passione dei tedeschi guidati da Helmut Kohl e per l'appoggio convinto e senza tentennamenti di George Bush padre (se è vero che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, deve valere anche il contrario, per riabilitare quel saggio presidente, padre di un presidente molto meno saggio), non certo per il sostegno europeo.
Ai pessimisti, che dicono che dobbiamo fare attenzione agli esiti della cosiddetta "primavera araba", a quelli che pontificano sui rischi delle strade nuove, timorosi di abbandonare le vecchie e conosciute, voglio dire che certamente nell'89 avevamo in tanti molte speranze che sono andate deluse. Gli esiti sono stati molto diversi, da paese a paese: sono nate democrazie mature, come quelle polacca, quella ungherese, quella ceca, ma sono anche sorte dittature molto dure, come quella di Lukasenko in Bielorussia - personaggio molto stimato da Gheddafi e da Berlusconi, per dire - e regimi autoritari, come in Russia. Nell'89 ci aspettavamo che in ogni paese ci fosse un Havel, ma ci siamo ritrovati anche i Putin. Alcuni paesi si sono divisi in maniera consensuale, come la Repubblica ceca e la Slovacchia, mentre nei Balcani abbiamo assistito a conflitti sanguinosi, tra il cinismo e l'indifferenza dell'Europa. Srebrenica è una pagina buia della nostra storia, quanto la caduta del muro di Berlino è luminosa. Nonostante tutto, dopo vent'anni, osservando un cartina dell'Europa o guardando alla composizione del Parlamento europeo, credo che nessuno potrebbe rimpiangere l'ordine precedente all'89.
Allo stesso modo, anche in questo caso nonostante gli enormi problemi che ancora ci sono in America latina - e che io cerco di raccontare in questo blog - nessuno può rimpiangere l'ordine delle dittature militari sostenute dagli Stati Uniti. Ci sono regimi corrotti, ci sono i regimi autoritari di Chavez e dei Castro, ma in Brasile, in Argentina e in Cile ci sono democrazie ormai solide, che tra l'altro hanno portato alla presidenza in ciascuno di questi paesi delle donne, un traguardo che in diversi paesi europei siamo lontani dal raggiungere.
Anche i più entusiasti e i più utopisti di noi sanno che gli esiti delle rivolte di queste settimane non saranno uguali in tutti i paesi, sono troppo diverse le condizioni di partenza da stato a stato; in alcuni paesi è perfino azzardato parlare di stato in senso moderno. Ci saranno conflitti, nasceranno nuovi regimi autoritari, forse ci saranno anche dittature peggiori di quelle che sono state abbattute e di quelle che speriamo lo siano il prima possibile. Qualcosa però è successo e qualcosa succederà: nel 2011 ci saranno le elezioni politiche in 19 stati africani e il vento di libertà e di democrazia che soffia dal nord non potrà non avere conseguenze. Bisogna lavorare affinché tra 20 o 30 anni l'Africa non sia la stessa di oggi: è difficile, ma non impossibile.
E poi, se la politica smette di nutrirsi di sogni, ha perso parte del suo valore.