Le conclusioni che si possono trarre dall'andamento di questa manifestazione di Primo Maggio sono confortanti. La manifestazione è riuscita come intervento di masse, come estensione di solidarietà operaia. Ha dimostrato come il proletariato italiano malgrado la reazione è sempre rosso. Ed è anche riuscita come prova di spirito di combattività che si risveglia nelle file dei lavoratori. I fascisti si sono preoccupati di dimostrare col loro contegno e colle loro stesse dichiarazioni che si trattava di una manifestazione antifascista. E tale è stato il significato della astensione dal lavoro e dell'intervento alle dimostrazioni di grandissime masse, da un capo all'altro d'Italia, e senza escludere le zone percosse dal fascismo. Se i cortei non si sono fatti si deve alla imposizione del governo: se si fossero potuti tenere, oggi conteremmo un maggior numero di morti operai, ma anche un maggior numero di morti fascisti.
Questo breve brano dovrebbe essere sufficiente per ricordarci che il Primo maggio non è soltanto un giorno di vacanza, un giorno in cui stare a casa dal lavoro o da scuola, un giorno in più da trascorrere con la propria famiglia, da dedicare a se stessi e alle proprie passioni. Fotunatamente per noi, grazie anche alle lotte di chi è venuto prima di noi, il Primo maggio è anche questo, e dobbiamo imparare a godercelo. Se fosse soltanto un giorno di vacanza, la polemica sull'apertura dei negozi sarebbe assolutamente infondata: sarebbe sufficiente garantire ai lavoratori impegnati in quel giorno un altro momento di riposo, come avviene per la domenica, per garantire a tutti gli stessi diritti. Ma non stiamo parlando soltanto di un giorno di festa ed è quello che, con giusta ostinazione, prova a ricordare Susanna Camusso, a nome della Cgil, a un'Italia in cui il pensiero dominante cerca di convincerci di tutt'altro: Camusso dice semplicemente che non tutto è monetizzabile, mentre in questo paese ormai tutto tende a esserlo.
L'articolo di Gramsci ci ricorda che il Primo maggio è stato prima di tutto un giorno di lotta, un giorno di manifestazioni, un giorno in cui i lavoratori, scioperando e quindi rinunciando volontariamente al proprio salario, scendevano in piazza per chiedere i propri diritti. E' stato un giorno per esprimere la "solidarietà operaia", è stato un giorno in cui era rischioso, anche molto rischioso, scendere in piazza. Se dimentichiamo tutto questo, se dimentichiamo i morti di Portella della Ginestra in quel tragico Primo maggio del 1947, perdiamo di vista un elemento essenziale della nostra storia.
Il Primo maggio non è indispensabile andare in piazza, anche se ci sono tante ragioni per farlo e a volte è anche bello farlo, è confortante e liberatorio, perché la piazza segna davvero un momento di solidarietà. Io cerco di parlare spesso di lavoro nel mio blog, perché le condizioni del lavoro sono sempre più dure, specialmente per le donne e per i giovani, perché ci sono ancora troppe persone che muoiono sul lavoro e che muoiono perché non hanno o non hanno più un lavoro, perché anche qui, in un paese in cui il lavoro è citato nel primo articolo della Costituzione, sta diminuendo in maniera pericolosa la dignità del lavoro, soprattutto perché in troppi paesi del mondo il lavoro non è soltanto senza dignità, ma è senza diritti. Non si può parlare della condizione delle donne soltanto l'8 marzo e così non si può parlare solo dei diritti dei lavoratori il Primo maggio. Quel giorno possiamo davvero prenderci un giorno di vacanza, perfino dalle lotte, ma non possiamo dimenticare cosa c'è dietro quel giorno di vacanza.
E' molto difficile la posizione che in questo periodo sta cercando di tenere la Cgil - e devo dire, purtroppo, da sola, senza e anzi con l'opposizione delle altre confederazioni - contro modelli culturali ed etici, prima ancora che politici, che vanno in tutt'altra direzione. Probabilmente è vero che l'apertura dei negozi in un giorno di vacanza favorisce un aumento dei consumi, ma qualcuno deve riuscire a convincermi che un aumento generalizzato e utopisticamente senza fine dei consumi segni un aumento del benessere complessivo di una società. Ho già scritto un paio di "considerazioni" su questo tema - la nr. 48 e la nr. 176, per la precisione - sull'esasperazione con cui nelle nostre città si aumentano spazi e tempi dedicati esclusivamente all'uomo consumatore; non voglio tornarci sopra, ma francamente non mi pare che la proliferazione di centri commerciali e la loro tendenza a essere sempre e comunque aperti sia un segno di civiltà. Tutti, davvero tutti, perfino alcuni partiti della sinistra e i loro amministratori locali, definiscono questa posizione come antistorica, come figlia di un pensiero vecchio, legata a miti ormai superati e usurati. Io continuo a pensare, con ostinazione, che non ci sia nulla di vecchio e di usurato, in certi valori: uno di questi è ricordare il Primo maggio, per ricordare quello che è stato conquistato e per rivendicare quello che ancora dobbiamo conquistare.
p.s. dal momento che la condivido in toto, riporto la risposta che Susanna Camusso ha scritto al Corriere, giornale che è ovviamente favorevole all'apertura dei negozi...