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Considerazioni libere (251): a proposito di una stagione che sta per finire...
Creato il 01 ottobre 2011 da LucabilliCome è noto, la Lettera - che merita appunto di essere citata con la "l" maiuscola - è stata firmata da Jean-Claude Trichet e da Mario Draghi - anche se verosimilmente è stata scritta solo da quest'ultimo - e fatta recapitare lo scorso 5 agosto al governo italiano. Nei giorni successivi la Lettera è stata evocata molte volte, alternando paure e speranze, rimanendo però segreta. Proprio questa segretezza ha permesso alle fantasie italiche di fare congetture sul suo contenuto, alimentando così quel particolare settore del mondo dell'informazione che si occupa di "retroscena" e che ha ormai fagocitato le pagine politiche dei quotidiani italiani. Sotto l'egida della Lettera, segreta ed evocata, il sedicente governo italiano ha passato l'estate a fare e a disfare manovre economiche, il cui unico effetto - nefasto per tutti, come cominciamo a vedere nei nostri conti quotidiani - è stato l'aumento dell'Iva, misura tanto iniqua quanto sbagliata. In genere al malato si deve dare una medicina, ma se si esagera gli effetti collaterali sono molto pericolosi. Nelle stesse settimane l'opposizione ha promosso una campagna affinché il governo rendesse pubblica la Lettera, pensando che contenesse giudizi così negativi su B. da indurlo alle dimissioni; insomma la Lettera sembrava "l'arma fine di mondo".
Ma torniam0 alla Lettera in sé. Il 29 settembre - data maliziosamente scelta per rovinare il genetliaco del premier - il più autorevole quotidiano italiano, da sempre espressione dell'establishment e quindi naturalmente vicino al centrodestra - perché in natura i ricchi sono sempre di destra - ha pubblicato la Lettera e così abbiamo scoperto che il suo contenuto è semplicemente il programma politico del prossimo governo di destra, che verrà votato dagli italiani nelle elezioni anticipate della primavera 2012.
Va dato atto agli estensori della Lettera di essere stati chiari e concisi. La Lettera prevede che le decisioni in materia economica "siano prese il prima possibile per decreto legge", a cui dovrà seguire "la ratifica parlamentare". E' chiara l'idea di democrazia che sta dietro alla Lettera e a chi l'ha scritta. Chi ha scritto naturalmente sa che in una repubblica parlamentare, qual è l'Italia, le cose non funzionano - o almeno non dovrebbero funzionare - in questo modo, ma ritiene questo un passaggio essenziale, tanto da prefigurare anche "una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio". Qualcosa del genere è avvenuto in Ungheria alcuni mesi fa; ne ho scritto in una "considerazione" - la nr. 223 - che vi invito a leggere.
Ovviamente la Lettera si occupa più di economia che di riforme istituzionali - anche se, en passant, è citata l'abolizione delle Province, sicuramente un'idea di Trichet - ed è in questo campo che le ricette di destra sono più evidenti: "piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali", "privatizzazioni su larga scala", "accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti", ma con maggiore interesse sui licenziamenti, naturalmente. Sono poi citate l'abolizione delle pensioni di anzianità, la riduzione della spesa pubblica - anche "riducendo gli stipendi" dei dipendenti pubblici - controlli molto rigorosi sulle autonomie locali, con buona pace dei federalisti dei prati. La Lettera dice molte cose, ma non parla di molte altre cose. Non chiede che il fisco venga riformato affinché chi più ha più contribuisca alla finanza pubblica e soprattutto che tutti paghino il dovuto; non chiede che si affronti con serietà il fatto che una parte sempre più rilevante dell'economia italiana è in mano alla malavita organizzata; non affronta l'enorme e ormai insopportabile differenza tra donne e uomini nel mondo del lavoro; non cita le condizioni di precarietà di tantissimi lavoratori; non parla del divario che continua a crescere tra i pochissimi che sono sempre più ricchi e la grande maggioranza delle persone che sono sempre più povere. La Lettera di questi temi non si occupa perché per un uomo della formazione e della cultura politica di Draghi non sono problemi di cui debba occuparsi lo stato e perché, sotto sotto, ai ricchi non importa proprio nulla dei poveri.
La Lettera è molto chiara, eppure riesce a essere sfuggente nel suo assunto di base. Il programma di governo prefigurato in quel documento non è onestamente presentato coma la prospettiva di uno schieramento di destra - come fanno ad esempio i repubblicani negli Stati Uniti - a cui possa venire contrapposta una posizione di sinistra o addirittura - se la parola è ancora concessa - socialista. La Lettera è presentata come l'unica soluzione possibile, suggerita da un'autorità super partes - peraltro non eletta democraticamente - tecnica e non politica. Qui sta il trucco, che però questi maghi sono molto abili a mascherare.
E qui arriviamo alla cronaca di oggi e, temo, delle prossime settimane. Industriali, banchieri, gran borghesi, speculatori vari si sono resi conto che B. non riesce più a tutelare i loro interessi, come ha fatto egregiamente dal '94 a oggi, e gli hanno dato il benservito, sostenuti anche dalle gerarchie vaticane, anch'essi "grandi elettori" che non si sentono più tutelati. Il programma per le elezioni è già pronto, anzi è inevitabile, dettato dalla Bce, tecnico e super partes; sono pronti anche i candidati, anch'essi tecnici e super partes, c'è solo da scegliere il più rassicurante tra Monti, Montezemolo e Marcegaglia; sono pronti anche i politici del centrodestra, da Casini a Formigoni, da Rutelli a Fini, per fornire intendenza e carriaggi all'uomo - o donna - forte di turno; sono pronti i soloni, gli intellettuali e gli opinionisti della grande stampa a benedire l'operazione. In sostanza la destra economica e sociale è già pronta a sostituire B., in nome di un nuovo antiberlusconismo e dell'unità nazionale.
E qui siamo di fronte a un paradosso francamente inspiegabile: il centrosinistra che per sedici anni ha predicato, profetizzato, auspicato la fine del berlusconismo, adesso che ci siamo arrivati - per evidenti limiti fisici e politici dell'uomo - non è pronto. Arriva alle elezioni esausto e senza idee, quando la situazione mondiale sembra invece favorevole a cercare soluzioni non di destra a problemi creati dall'ideologia liberista sfrenata di questi anni. In Danimarca ha vinto una donna, la leader del partito socialdemocratico, con un programma decisamente di sinistra; in Francia i socialisti vedono la possibilità di sconfiggere Sarkozy alle presidenziali del prossimo anno; in Germania la Spd è in netta ripresa. In Italia il centrosinistra non è pronto. Ma, come mi è già capitato di dire, commentando la vicenda di Sesto San Giovanni - nella "considerazione" nr. 249 - la cosa peggiore è che il centrosinistra italiano è culturalmente succube dell'ideologia della destra. Temo che ci sia più di uno dei dirigenti del Pd che è sinceramente convinto che la lettera di Draghi sia davvero una proposta tecnica e non politica.
Se poi il prossimo governo sarà di "unità nazionale" - come molti anche nel Pd sembrano auspicare - sarà comunque guidato da qualche esponente della destra, sempre uno dei tre già citati, buoni per tutte le occasioni, e farà una politica di destra, quella dettata dalla Lettera: non ci sarà spazio per mediazioni, come è avvenuto invece nella grosse Koalition tra la Cdu e la Spd. Il governo di unità nazionale significherebbe la morte del Pd e quindi l'impossibilità della sinistra di governare questo paese almeno per alcuni decenni: non è un caso quindi che ci siano tanti da destra interessati a questa prospettiva, è più strano invece che l'agnello voglia fare una coalizione con il lupo. Per il Pd e per il centrosinistra italiano l'unica speranza di ribaltare un risultato già scritto sarebbe quella di rispondere al programma di Draghi con una proposta, altrettanto chiara e concisa - bastano due pagine, non ne servono trecento - di forte impianto socialista: una robusta operazione di redistribuzione della ricchezza nazionale, per avere le risorse per contenere il debito e per avviare la crescita; e avviare daavvero le riforme di cui l'Italia e gli italiani hanno bisogno. Le speranze di questo cambio di passo però si stanno riducendo al lumicino.
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