Sul modo in cui è avvenuta questa anomala e rapidissima crisi di governo credo sia opportuno soffermarsi. In un certo senso è stata una vittoria - seppur postuma - di B.: provo a spiegarmi. Uno dei pochissimi tratti squisitamente politici di B. - la cui scelta di "scendere in campo" e la cui successiva condotta politica è stata sempre dettata da interessi economici molto concreti, i suoi e quelli delle sue aziende - è stato quello di considerare superata la democrazia parlamentare disegnata dalla nostra Costituzione, a favore di una supremazia del potere esecutivo e dell'uomo - lui in questo caso, che peraltro si considerava eterno - che lo incarnava. B. ha sempre considerato il Parlamento come un orpello o come una fastidiosa perdita di tempo, e infatti l'unica riforma istituzionale che è riuscito a compiere in questi lunghi 17 anni è stata quella di modificare la legge elettorale, cercando di trasformare gli eletti in nominati. Da questo punto di vista, la politica di B. è sempre stata eversiva, perché non ha mai riconosciuto le prassi di una democrazia parlamentare, come continua a essere quella italiana. Come sapete, io ho grande rispetto per Giorgio Napolitano, ma credo sia giusto sottolineare che in queste concitate fasi egli sia andato ben al di là delle prerogative previste dalla Costituzione e dalla prassi; in qualche modo l'ostinazione di B. a rimanere a Palazzo Chigi e la contemporanea richiesta dell'Europa e dei mercati di farlo andar via ha costretto il Presidente della Repubblica ad andare fuori dalle righe. Questa crisi di governo si è svolta ovunque, tranne che in Parlamento; ne sono stati protagonisti il Presidente Napolitano, le cancellerie europee, i grandi interessi economici, vi hanno avuto un ruolo secondario la stampa italiana e internazionale, una parte della magistratura, probabilmente qualche potere torbido - che in Italia non manca mai; la politica non ha praticamente toccato palla. Monti era già il presidente incaricato prima che B. rassegnasse le dimissioni e sarà presidente per una sorta di acclamazione europea, a prescindere dal voto di fiducia dei parlamentari italiani. Dal punto di rottura in cui siamo arrivati in questa crisi non sarà facile - e probabilmente non c'è neppure la volontà politica di farlo - tornare alla lettera della nostra Costituzione. Questa è una delle più pesanti eredità che B. lascerà a questo paese.
Sugli esiti di questa crisi ho già scritto, in una "considerazione" dello scorso 1 ottobre - la nr. 251 - che vi invito a leggere. Io rimango ostinatamente attaccato ad alcune vecchie idee di sinistra, continuo a pensare con le categorie del Novecento - come dicono quelli che parlano bene - uso termini desueti come "padroni" e "capitale". Per queste ragioni non sono tra quelli - la stragrande maggioranza degli italiani, a quanto sembra - che pensano che Monti salverà l'Italia; Monti farà Monti, ossia applicherà parola per parola quanto ordinato dalla famosa lettera scritta da Draghi e da Trichet all'inizio di agosto, un condensato delle ricette ultraliberiste della grande finanza occidentale. Monti è un uomo di destra e farà una politica di destra, altrimenti non lo avrebbero messo lì. Temo che la nascita di questo governo segnerà per molti anni la storia di tutto il paese, che sarà sempre più messo ai margini dall'Europa che conta: forse nascerà davvero l'Europa a due velocità e certamente l'Italia non sarà nel primo gruppo. Ma la cosa peggiore è che il prezzo del risanamento italiano sarà pagato quasi esclusivamente dai lavoratori e dai pensionati e che la sfera dei diritti economici e sociali sarà profondamente ristretta. Come si dice, chi vivrà vedrà; e di questo naturalmente continuerò a parlare. C'è poi un altro aspetto che mi sta particolarmente a cuore; per come la vedo io, la nascita del governo Monti e la decisione del Pd di sostenerlo segna una delle più grosse battute d'arresto per la crescita della sinistra in Italia, probabilmente molto più grave della scelta del Pci di sostenere i governi di solidarietà nazionale alla fine degli anni Settanta. Anche di questo - temo - torneremo a parlare.
Intanto, dopo qualche tentennamento di troppo e un certo scortese ritardo, B. si è finalmente dimesso - ho sospeso di scrivere questa "considerazione" per cenare e per seguire in diretta l'evolversi della situazione. Stasera - sabato 12 novembre 2011 - B. ha finalmente chiuso la sua troppo lunga carriera politica. Stasera possiamo finalmente tirare un respiro di sollievo. Festeggiamo pure - se vivessi a Roma, forse sarei andato anch'io a rumoreggiare felice sotto i palazzi della politica - sfoghiamoci pure, ma è importante che non ci raccontiamo delle balle. Non vorrei rovinare la festa proprio questa sera, con un po' di sano pessimismo, ma vorrei ricordare che B. non è stata una parentesi della storia d'Italia. Ho recuperato una mia "considerazione" del marzo 2010, scrivevo allora:
Ha vinto Berlusconi perché ha consolidato l'obiettivo che è sempre stato alla base del suo agire politico: offrire una rappresentanza politica alla parte maggioritaria di questo paese, che è insofferente alle regole, che non vuole pagare le tasse, che pensa unicamente agli interessi propri e della propria famiglia, a scapito degli interessi degli altri. Berlusconi non rappresenta l'Italia di destra, ma questa Italia, che va a puttane e manda le figlie a scuola dalle suore, che si lamenta dei torti subiti e che, appena ha un po' di potere, lo esercita con lo stesso arbitrio, che pretende i servizi pubblici e non paga le tasse. Berlusconi ha vinto e vincerà perché rappresenta al meglio questa parte dell'Italia ed è riuscito a far credere che questa Italia è l'Italia del centrodestra.
Continuo a essere convinto di queste frasi. Il berlusconismo è - è ancora, perché non è certo finito con le dimissioni di B. - la mancanza di etica della responsabilità civica, che è il male peggiore di questo paese. Il modello del perfetto berlusconiano non è - a differenza di quello che si potrebbe pensare - il rancoroso lettore di Libero e del Giornale, colui che accetta acriticamente tutto quello che fa e che dice B. e che vede dappertutto i comunisti; il perfetto berlusconiano è quello che ha sempre votato per B. senza mai dichiararlo e che adesso, per opportunismo, dice che la soluzione migliore è senz'altro quella di Monti, è il voltagabbana pronto a sostenere il nuovo padrone. Con questi B. ha avuto la maggioranza e sono ancora tutti lì. C'erano prima di B. e ci saranno dopo di lui e sono molti, forse ormai sono troppi.