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Prima di tutto credo sia necessario rispetto. E poi bisogna prendere l'abitudine - molto laica - di pensare prima di parlare. Già ieri sera, a poche ore dalla proclamazione, ho visto in rete due foto che ritraggono un prelato - si suppone argentino - a fianco del dittatore Videla; chi ha messo in giro quelle foto - e anche quelli che in maniera troppo automatica e frettolosa le hanno condivise - hanno riconosciuto in quei preti Jorge Mario Bergoglio. In entrambi i casi il buon senso e una veloce consultazione di Wikipedia sarebbero stati sufficienti per far capire che nessuno dei preti in quelle foto è l'attuale papa. Detto questo, con altrettanta fermezza bisogna ricordare quanto sia stata terribile la dittatura di Videla e dei suoi colleghi militari in Argentina e che quel regime per troppo tempo ha goduto dell'appoggio diretto e del sostegno politico della chiesa cattolica, sia del clero argentino sia del Vaticano, di Paolo VI prima e di Giovanni Paolo II dopo. Dato a Cesare quel che è di Cesare, bisogna poi saper distinguere le responsabilità delle istituzioni e quelle dei singoli. Sinceramente credo sia difficile trovare adesso in Argentina uno che in quei tempi era un prete e si opponeva al regime: quelli così li hanno ammazzati, tutti. Non conosco abbastanza la biografia del nuovo papa per dire se in quella stagione era soltanto uno che si barcamenava in un mare in tempesta o se ha avuto responsabilità maggiori, perché aderiva con convinzione alle idee allora dominanti. Forse lo spiegherà lui stesso, vista la franchezza che ha già dimostrato in queste prime ore di pontificato. Certamente a Bergoglio va il merito, quando era arcivescovo di Buenos Aires, di aver chiesto perdono per i crimini di cui la chiesa argentina è stata complice - e in alcuni casi protagonista - durante il regime militare. Credo che non sia stato semplice, perché il dramma era ancora recente e tante persone coinvolte, tra i colpevoli come tra le vittime, ancora vive; forse è stato più facile per Wojtyla chiedere perdono per aver condannato Galileo, un gesto che è stato acriticamente lodato dall'opinione pubblica. Per chiudere questa riflessione voglio tornare a un episodio della storia italiana. Nel 1931 Mussolini impose ai professori universitari di giurare fedeltà alla monarchia e al regime fascista, pena la decadenza dalla cattedra. Come noto, furono pochissimi i professori che si rifiutarono e giustamente i loro nomi sono scolpiti nella storia d'Italia. Però tra chi giurò ci sono grandi nomi della cultura e della scienza italiana, e persone che - e a loro dobbiamo essere assolutamente grati - ricordiamo come padri della nostra Costituzione e della nostra democrazia. Il contributo alla storia dell'Italia democratica di molti di loro fu altrettanto determinante di quelli che rifiutarono, perché furono i maestri di una generazione di nuovi antifascisti.
Questo discorso per dire che non possiamo pretendere - soprattutto noi atei, noi laici - che il papa sia come noi o come noi lo vorremmo. Sempre ieri sera ho letto il commento di qualche compagno che ha ricordato le parole dure del cardinale Bergoglio contro i matrimoni gay. Cosa vi aspettavate da un cardinale della chiesa cattolica argentina? Se avesse sostenuto i matrimoni tra le persone omosessuali o il sacerdozio femminile dubito fortemente che sarebbe diventato arcivescovo e poi cardinale e poi papa. Allora smettiamola di giudicare il papa, sia per quello che ha detto e che ha fatto sia per quello che dirà e che farà, secondo i "nostri" criteri di giudizio. Io credo di capire il dramma di una persona omosessuale che crede e quindi si sente esclusa dalla comunità dei fedeli, ma sinceramente è un tema su cui, da non credente, non voglio entrare. Se la chiesa accoglie gli omosessuali sono contento per quelli di loro che credono, ma non è che io divento cattolico; continuerei serenamente a non credere. Su questo, come sugli altri temi di cui si discute, devono decidere i cattolici, devono decidere quelli che fanno parte di quella comunità. Io però da cittadino difendo con altrettanto vigore il principio che tutti gli uomini sono uguali e che quindi tutti hanno gli stessi diritti, compreso quello di avere una famiglia, e quindi nessun prete, nessun rabbino, nessun imam può pretendere che le convinzioni legittime della sua religione diventino quelle dello stato.
Guardando dall'esterno quel mondo complesso che è la chiesa, intesa nel senso più largo possibile, mi pare che l'elezione di questo papa sia un segnale importante. Come ho scritto nell'altra "considerazione", quando una cosa impensabile smette di essere tale significa che anche altre cose impensabili possono diventare possibili. E infatti nessuno ieri si aspettava l'elezione di questo papa, il primo gesuita, il primo sudamericano, il primo a chiamarsi Francesco. Probabilmente il merito storico di Ratzinger non è solo quello di aver abdicato e quindi di aver dato una concretezza "umana" alla funzione papale, ma anche quello di aver contribuito a creare un collegio cardinalizio capace di eleggere un uomo così diverso da lui, come Bergoglio. Nonostante il segreto della Sistina, pare proprio che otto anni fa il cardinale di Buenos Aires avesse già una possibilità più che teorica di diventare papa, ma allora non aveva abbastanza voti. Ho letto che in questi otto anni il collegio cardinalizio è cambiato circa per metà ed evidetemente questa volta la maggioranza richiesta c'è stata. Dal momento che i cardinali li sceglie il papa, qualcosa vorrà dire. Chi crede pensa che ci sia l'azione dello Spirito santo, io - come sapete - allo Spirito santo non ci credo, ma certamente c'è stato un cammino in questi otto anni, che ha portato alla scelta di ieri sera.
Mi hanno colpito molte cose, alcune mi sembra che abbiano un significato più profondo di quello che lascia intendere una prima lettura del messaggio del nuovo papa. Al di là della scelta del nome, ovviamente evocativo, il nuovo pontefice ha sempre riferito a se stesso il solo titolo di vescovo di Roma; non ha ringraziato perché lo hanno eletto papa di tutto il mondo, ma appunto vescovo di Roma. Forse è un modo per dire che quella funzione deve essere ripensata. Il chiedere ai fedeli di pregare per lui è stata una sorta di investitura popolare, anche in questo gesto probabilmente c'è un significato teologico e filosofico più profondo, su cui davvero non voglio addentrarmi. Lascio il tema a chi ne capisce più di me. La cosa importante, anche per noi che della chiesa siamo fuori, è che il solo comparire di quest'uomo sul balcone ha scatenato in quel mondo una grande energia, un entusiasmo, che certaamente era latente e che aspettava una miccia per esplodere. Un po' li invidio, penso che anche in politica servirebbe qualcosa del genere, un'idea nuova capace di catalizzare un tale entusiasmo. Un po' c'era riuscito Obama.
L'elezione del papa polacco, sicuramente al di là delle aspettative di chi lo aveva votato, e anche al di là della sua successiva azione - che pure fu significativa - fu il segno di un cambiamento profondo, che richiese molti anni. Forse l'elezione di un papa sudamericano, di un papa che conosce meglio di altri le differenze tra il nord e il sud del mondo e anche le differenze che ci sono all'interno di ogni società, potrebbe essere un segno che certe idee e certi modelli sociali sono arrivati ormai a fine corsa. Forse, su questo tema, con papa Francesco faremo un pezzo di cammino insieme.
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