L'Italia ha di fatto consentito l'espulsione di una donna in quanto moglie, dando per scontato, in barba alla titolarità individuale dei diritti fondamentali, che il destino di Alma Shalabayeva si giocasse di riflesso a quello del marito.Per amore di sintesi i mezzi di informazione hanno cominciato a parlare di "scandalo kazako"; per una volta concordo sull'uso di questo termine, ma non sono affatto d'accordo sull'oggetto. Il vero scandalo non si è consumato qualche settimana fa tra una villetta di Casal Palocco, le segrete stanze dell'ambasciata kazaka e gli uffici di anonimi e incompetenti passacarte della burocrazia italiana; il vero "scandalo kazako" si consuma da anni, perché è da molto tempo che il nostro paese considera quella dittatura asiatica come un partner privilegiato, dal punto di vista politico ed economico.
Le cose infatti bisogna cominciare a chiamarle con il loro nome: il Kazakistan è una dittatura. Punto. Nursultan Nazarbayev guida, con modi decisamente autoritari, quel paese, fin dalla sua indipendenza, nell'ottobre del 1990, come prima lo governava, con toni ugualmente autoritari, come segretario del Partito e quindi rappresentante del regime comunista: di fatto per il popolo kazako l'89 è passato invano. Nel 1994, quando, a seguito di forti contestazioni delle opposizioni, la Corte costituzionale decise di invalidare le elezioni nelle quali aveva vinto, grazie a dei brogli, il partito del presidente, Nazarbayev sciolse il parlamento e si attribuì per decreto il potere legislativo; la successiva "nuova" costituzione ampliò i già ampi poteri del presidente e un referendum ha prorogato il mandato presidenziale fino al 2022; considerato che il presidente è nato nel 1940, il "nuovo" mandato è quasi a vita, anche se Napolitano insegna che è proprio superati gli ottant'anni che si comincia ad assaporare la gioia del potere, facendo di tutto - lecito ed illecito - per rimanerci.
La fortuna di Nazarbayev, oltre alla longevità e alla buona salute, è la ricchezza petrolifera del suo paese. Il petrolio ha reso Nazarbayev un interlocutore affidabile per tutte le cancellerie europee, in particolare per i governi di centrosinistra. L'ex presidente del consiglio italiano Prodi, l'ex cancelliere austriaco Gusenbauer, l'ex presidente polacco Kwaśniewski fanno tutti parte di un comitato, l'International advisory board, istituito da Nazarbayev; Tony Blair è consulente del presidente kazako, un incarico che gli richiede un certo impegno, visto che riceve, secondo quanto riferito dalla stampa britannica, 9 milioni di euro all'anno. I buoni rapporti che Nazarbayev intrattiene con tutte queste persone altolocate ha permesso all'Europa, vincendo la concorrenza russa e cinese, di poter sfruttare il giacimento di Kashagan, il più grande scoperto negli ultimi dieci anni, con un potenziale enorme, ancora da quantificare esattamente. E la "nostra" Eni in questo affare fa la parte del leone, dal momento che guida il consorzio incaricato dell'esplorazione e dello sfruttamento. Nell'ottobre del 2007 il presidente del consiglio e il ministro per il commercio con l'estero italiani, allora rispettivamente Prodi e Bonino - vedi le coincidenze a volte - hanno guidato una delegazione di duecento imprenditori italiani con l'obiettivo di rendere sempre più stretti i rapporti tra i due paesi. Italia, Kazakistan; una faccia, una razza. Di cosa sia la faccia è facile indovinare.
Il giacimento di Kashagan si trova vicino al delta del fiume Ural, la frontiera geografica tra Europa e Asia; si tratta di un'isola, nella parte settentrionale del Mar Caspio: il petrolio si trova nel mare là sotto. I rischi ambientali e sociali legati a questo progetto sono altissimi, come da anni cercano di far sapere associazioni internazionali e, naturalmente inascoltati, alcuni cittadini di quel territorio. Attualmente non ci sono tecnologie abbastanza avanzate per garantire la sostenibilità dell'estrazione del petrolio, in particolare nella parte collegata alle emissioni di solfati; il problema non è solo un'ipotesi di scuola, ma una realtà già presente in quel territorio, perché da dieci anni è in funzione, a circa duecento chilometri da lì, sempre in territorio kazako, il giacimento di Tengiz, con danni molto gravi per la salute di quella popolazione. A Tengiz ci fu un primo incidente già nel luglio del 1985: morì un operaio e centinaia di persone furono costrette a lasciare le proprie case, dal momento che il pozzo continuò a bruciare per oltre un anno. A causa delle esalazioni di zolfo nel corso degli anni alcuni paesi sono stati sfollati nella periferia di Atyrau, la città più vicina a Kashagan; secondo i medici locali c'è il rischio che questa stessa città, che è diventata una "capitale del petrolio", debba essere evacuata, quando cominceranno le estrazioni nel grande giacimento marino. Atyrau, fino ad ora una remota città sul Caspio, in pochi anni ha decuplicato la popolazione e ha un collegamento aereo giornaliero con Amsterdam. Dal momento che ci vivono molti uomini d'affari e molti tecnici occidentali dipendenti delle compagnie petrolifere, il costo della vita è salito alle stelle, senza naturalmente che ciò abbia avuto un beneficio sulla popolazione locale, i cui salari non sono stati adeguati. Il 90% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, senza accesso ai servizi di base e nella maggior parte dei casi senza energia per cucinare e riscaldarsi: nella capitale del petrolio i poveri continuano a usare il carbone.
Nazarbayev riesce comunque a tenere sotto controllo la situazione. Nel 2010 i lavoratori della KazMunaiGas e della Ersai Caspian Contractor, una società di cui è proprietaria anche Eni, nella città di Zhanaozen hanno scioperato per sei mesi, per chiedere aumenti salariali e per denunciare le loro pessime condizioni di lavoro; in vista delle elezioni del gennaio 2011 la reazione della polizia ha stroncato queste proteste. Ci sono stati dieci morti durante gli scontri tra la polizia e i lavoratori del petrolio in sciopero. Come credo sia evidente anche da queste note - che ho raccolto velocemente in rete e che potete controllare - lo scandalo legato alla vicenda di Ablyazov, personaggio per cui non ho nessuna simpatia e che probabilmente sarebbe perfino peggiore e più corrotto di chi vuol sostituire - ne abbiamo viste di situazioni come queste purtroppo, in particolare in quei paesi - impallidisce di fronte a queste vicende. I governi occidentali sanno benissimo che in Kazakistan il settore petrolifero è considerato una questione di priorità nazionale e che quindi le libertà di stampa e di espressione in merito alle questioni legate al petrolio sono nulle. Lo "scandalo kazako" non riguarda la storia di queste due donne, a cui comunque deve andare la nostra solidarietà - quantomeno per essere incappate nella nostra polizia, a cui fa ancora difetto un'acquisita e autentica sensibilità democratica, nonostante la buona volontà di tanti agenti e di tanti dirigenti, spesso donne, che ci lavorano - ma riguarda la confusione tra la politica estera italiana e gli interessi - legittimi, ma privati - di un'azienda come Eni, una multinazionale come le altre, forse peggiore delle altre, perché abituata a "lavorare" in Italia. Alla politica estera - ripassi un po' signora Bonino - dovrebbero interessare i vincoli internazionali nel rispetto dei diritti umani, nella cooperazione allo sviluppo e nella protezione dell'ambiente, cose di cui non c'è traccia nei rapporti tra Italia e Kazakistan. Figuratevi quindi se le autorità kazake si fanno problema di dettar legge nel nostro ministero dell'interno: sono loro che hanno il coltello dalla parte del manico e lo sanno benissimo. Noi, come al solito, ci siamo arresi, in nome della governabilità o degli interessi nazionali o di chissà cos'altro.