Parto da questo timore. Io spero che in questi pochi giorni che ci separano dalla manifestazione e soprattutto in quelli successivi, riusciremo a evitare il rischio di separare i temi democratici e costituzionali da quelli sociali. Non si tratta di un rischio teorico, ma di qualcosa che è avvenuto regolarmente in questi anni e che ha favorito la destra. In questi vent'anni la presenza eversiva e travolgente di B. ha scardinato tutte le consuete categorie politiche. Per troppo tempo c'è stata confusione tra antiberlusconismo e sinistra, tanto che per una parte rilevante, tendenzialmente maggioritaria, dell'opinione pubblica di sinistra era sufficiente che qualcuno si proclamasse contro B. per considerarlo un proprio alleato naturale. E infatti da sinistra c'è stata simpatia addirittura per Fini, l'ultimo segretario del Movimento sociale, nella speranza che potesse sostituire il Caimano alla guida del centrodestra. Sfruttando questa confusione, Napolitano nel novembre del 2011, è riuscito a imporre al paese il commissariamento da parte della troika, con molte meno tensioni sociali di quelle che sono successe in Grecia: eravamo talmente felici delle dimissioni imposte a B. da sopportare qualunque cosa. In questo paese abbiamo accettato ogni nefandezza, pur che fosse contro B. e i suoi scherani. Temo che qualcosa del genere possa succedere anche in questa nuova fase della vita politica: B. è stato stretto all'angolo da Letta e da Alfano e noi dovremmo perfino ringraziarli, anche di aver aumentato l'Iva. Anche a causa di questa contraddizione, mentre avevamo ben chiaro che a livello democratico e costituzionale i nostri nemici erano B. e i suoi servi, non avevamo la stessa consapevolezza che nel nostro paese - come nel resto del mondo occidentale - si stava giocando una lotta, senza esclusione di colpi, contro la sinistra e i suoi valori. Questa partita, per ora, l'abbiamo decisamente persa, dal momento che una parte rilevante della sinistra europea ha rinunciato a giocare un proprio ruolo autonomo rispetto al pensiero dominante ultraliberista. Al di là del caso italiano, dove questa resa è avvenuta in maniera ignominiosa - d'altra parte siamo pur sempre il paese dell'8 settembre - e l'ex-Pd sta per consegnarsi, armi e bagagli, a un leader neocentrista, ambizioso quanto spregiudicato, che non c'entra nulla con la storia della sinistra italiana, qualcosa di analogo è avvenuto in tutti i maggiori paesi europei, basti pensare alla parabola discendente del Spd, ridotto ormai a partito satellite della cancelliera Merkel o alle tribolazioni dei socialisti francesi e del Labour. Per tornare alle vicende italiane, in questi lunghi vent'anni, la lotta contro il berlusconismo ha sofferto della separazione o quantomeno di un incontro difficoltoso tra quelli che scendevano in piazza e lottavano per la legalità e i cosiddetti valori repubblicani e quelli che si ostinavano, per intima convinzione e per ruolo istituzionale - penso ovviamente al sindacato - a battersi sui temi della condizione dei lavoratori, contro l'aumento del numero dei disoccupati e dei giovani precari, contro il progressivo e inarrestabile arretramento dei sistemi di protezione sociale, a partire dalla previdenza. Analoga separazione hanno patito anche i movimenti e le associazioni che, con grande fatica e coraggio, hanno tenuto in vita la lotta contro le mafie, nonostante la sostanziale e complice indifferenza delle istituzioni pubbliche, che hanno ormai derubricato la lotta alla criminalità come un aspetto marginale dell'agenda politica. Di questa separazione e dell'incapacita della sinistra di affrontare i temi sociali si sono naturalmente approfittati B. e i suoi servi, a cui non fa certo difetto la mancanza di vergogna, sfruttando ogni tipo di demagogia populista, in particolare facendosi paladini della lotta contro le tasse che, per una parte di questo paese che non riceve in cambio alcun servizio, sono effettivamente una vera ruberia. Di queste contraddizioni si è giovato anche Grillo, basando tutta la sua propaganda su un seducente invito a mandare al diavolo tutta la "casta", ma senza offrire alcuna opzione programmatica alternativa, se non un generico superamento della dicotomia novecentesca tra destra e sinistra. Non so vi succede di parlare con qualche esponente di quel partito, a me capita ogni tanto; quando riuscite ad andare oltre i tre o quattro slogan che ripetono come un mantra, vi accorgete che non riescono a distinguere tra la sacrosanta lotta per la democrazia e la legalità e i temi sociali. A me succede abbastanza spesso di litigare con qualcuno di loro e alla fine l'argomento che usano contro di me è sempre quello: io rappresento, in quanto continuo a dichiararmi ostinatamente di sinistra, un pezzo del vecchio, a cui loro si contrappongono. Pur non rinnegando il fatto di aver fatto politica per molti anni, credo che chi ha la pazienza di leggere quello che scrivo magari può non essere d'accordo, forse può essere infastidito dai miei toni, non sempre gentili, ma difficilmente mi può considerare parte del regime; eppure è quello che mi succede ogni volta quando parlo con qualche amico del Movimento Cinque stelle. Per loro sinistra è equivalente di vecchio e quindi di responsabile della crisi. Questa è una contraddizione che dobbiamo in qualche modo riuscire a superare, se abbiamo l'ambizione di voler vincere le elezioni e provare a governare questo sfortunato paese.
Il fatto che tra i promotori della manifestazione del 12 ottobre ci sia la Fiom è un segnale importante, per sperare che questa dicotomia non continui a esserci. Così come sono significative le parole che in questi ultimi mesi Rodotà ha speso in più occasioni per sottolineare l'importanza dell'art. 1 della Costituzione, la non casualità della scelta dei Costituenti di mettere il lavoro come elemento fondante della nostra Repubblica e quindi la necessità di tenere insieme questi due valori inscindibili: democrazia e lavoro. Per misurare il successo della manifestazione del 12 ottobre e per capire soprattutto che spinta potrà dare alla ricostruzione di un movimento di sinistra in Italia, non sarà necessario soltanto vedere quanti saremo a Roma, ma prima di tutto chi ci sarà e con quali obiettivi, quali saranno le parole d'ordine di chi interverrà e soprattutto cosa riusciremo a fare dopo, perché naturalmente un percorso del genere non può ridursi a una manifestazione, per quanto ben riuscita, ma dovrà articolarsi in un percorso politico nei territori. Se passa l'idea che il nostro messaggio è solo quello della legalità e dell'osservanza costituzionale sarà insufficiente per mobilitare altre forze e soprattutto per parlare agli strati più deboli di questo paese, quelli che pagano più duramente il prezzo della crisi e che non hanno prospettive per il loro futuro. Se ci limiteremo a questo saremo un altro Movimento Cinque stelle, magari più educato, ma sostanzialmente inutile sul piano politico, così come lo sono loro. Capisco che questo tema della legalità sia importante, in paese che è, come dire, reffrattario alle regole e alle leggi e dove i principi costituzionali e democratici sono calpestati quotidianamente, prima di tutto dalle persone che sono stati chiamati a tutelarli, a partire da chi siede al Quirinale. L'ha detto in questi giorni Landini e io spero che sia il tema dominate della manifestazione. La battagalia non è quella di difendere la Costituzione, ma quella di applicarla integralmente, dal momento che troppe parti di essa sono rimaste lettera morta e altre sono disapplicate di fatto, sotto il peso della organizzazione materiale della società. Come noto sono le parti che riguardano i temi sociali: a partire proprio dal lavoro dalla rimozione degli ostacoli a trovarne uno dignitoso, sicuro e equamente retribuito, dalla salvaguardia degli istituti del welfare, ossia l'universalità e la gratuità, dalla difesa dell'ambiente e del paesaggio, che ad esempio contrasta con opere come il Tav. Come è evidente si tratta di elementi fondanti della nostra Carta costituzionale, che sono attaccati dalle politiche economiche decise dalle autorità finanziarie internazionali e applicate in maniera letterale dai governi italiani, come nel caso della costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, o addirittura con uno zelo maggiore di quello richiesto, come nel caso della riforma Fornero. Questo è il programma della maggioranza delle larghe intese e del governo, indipendentemente dalle convulsioni di questi giorni o da chi viene di volta in volta chiamato a interpretare i dettami di Bruxelles e Francoforte.Naturalmente mi rendo conto che sarebbe allo stesso modo un errore caricare un appuntamento come quello del 12 ottobre di troppe aspettative. Come ho detto, si tratta di un percorso che deve cominciare e vedremo dove ci porterà. Come mi è già capitato di dire, io sono uno di quelli che spera che alla fine di questo percorso nasca una nuova forza politica, perché non credo che quelle esistenti siano capaci di intercettare questi valori che ci sono nel corpo della sinistra italiana e di farsi promotrici di questo bisogno di radicalità. Su questo, come su altri punti, deve cominciare la discussione, a partire già dal 13 ottobre, perché è vero che bisogna evitare di avere troppa fretta - la fretta è cattiva consigliera, come ha ben dimostrato l'infelice esperienza della lista Ingroia, nata male e morta peggio - ma non possiamo neppure stare qui a discutere per anni, mentre tutto va a rotoli. A giugno prossimo si voterà per il parlamento europeo, il voto in sé non ha alcun valore politico, dal momento che quella istituzione è volutamente svuotata di qualsiasi potere reale, ma sarebbe interessante riuscire a costituire, a livello europeo, un soggetto politico di sinistra, capace di proporre una risposta diversa rispetto a quella sostanzialmente omologa del Ppe e del Pse, ossia delle larghe intese tedesca, italiana, greca e così via.
Nel 2006 riuscimmo a fermare con il referendum, proprio nel nome della Costituzione, il disegno del premierato - che non per caso i saggi nominati dal caudillo del Quirinale tentato di riproporre in queste settimane - ma non siamo riusciti ad attivare un percorso positivo, non siamo riusciti a mettere insieme sensibilità e bisogni differenti, ma potenzialmente convergenti. Tutte queste sensibilità e tutti questi bisogni possono concorrere a un appuntamento così ambizioso come quello del 12 ottobre e possono partecipare a quello che da lì si potrebbe costruire. In questi giorni abbiamo vissuto uno strano paradosso. La crisi si fa ogni giorno più dura, per fasce sempre più larghe di famiglie, la disoccupazione giovanile tocca ogni mese un picco e crescono parallelamente anche i precari, una parte dei lavoratori è senza stipendio e senza pensione, manca una qualsiasi politica industriale, tanto che le nostre aziende vengono comprate, a prezzi ridicoli, da investitori stranieri; in questo quadro drammatico si è aperta una crisi politica e istituzionale, ma non per mancanza di vie d'uscita o per l'incapacità di offrire risposte a questa situazione. In un altro contesto avremmo pensato che l'insopportabilità della situazione economica e sociale avrebbe potuto causare una crisi, vista l'ottusa e ostinata perseveranza con cui la nostra sedicente classe dirigente applica le ricette della troika; invece la crisi è nata e si è risolta intorno alla sorte personale di un politico pregiudicato, che, nonostante tutto, vuole continuare a stare sulla scena. L'unica cosa sensata da fare sarebbe quella di cambiare la legge elettorale e di andare subito a votare, ma già si parla di superare il 2014 e probabilmente si arriverà alla scadenza naturale della legislatura; il governo è delegittimato, ma in fondo poco importa, tanto le decisioni vengono prese da altri, in altri posti. Il governo Letta non può cadere sulla legge di stabilità, come una volta i governi democristiani cadevano in occasione della finanziaria, perché il nostro bilancio è già stato scritto dalla troika. Per questo è tanto più necessario provare a riattivare un movimento popolare e sociale, un movimento democratico forte che scardini queste regole. Dobbiamo andare in piazza il prossimo 12 ottobre non solo per dire che B. non può rimanere in senato, ma anche per dire che questo stato di cose non è più accettabile e che se deve esserci una crisi politica e istituzionale non deve continuare a nascere dalle beghe di palazzo, ma a causa di una rinnovata forza democratica.