Il suicidio del "partito del potere"
I risultati non saranno riconosciuti legittimi dalla popolazione, indipendente dalle cifre della CIK [1]
04.12.2011
La gente del Cremlino voleva che il risultato fosse prevedibile? Così è pure stato. L'esito principale sta nel fatto che le elezioni (nonostante la mancanza di scelta) stavolta in Russia ci sono state. Ma i loro risultati annunciati sono illegittimi.
Se i risultati annunciati dalla CIK del "partito dei farabutti e dei ladri" (PŽiV [2]) saranno nell'ambito del 40-45%, la prima reazione della società sarà un "Wooow!" di vittoria. Se sarà sopra il 55%, allora sul paese si abbatterebbe più o meno quel suono che Vladimir Putin sentì allo stadio Olimpico [3] – un basso e potente mugolio di odio. Ma anche la cifra del 45% è valutata come vittoria solo in un primo momento. Poiché, se negli esiti ufficiali ci sarà il 45%, la società trarrà la conclusione che in realtà era il 25%. Cioè l'esito previsto delle elezioni sta nel fatto che i risultati non saranno riconosciuti legittimi dalla popolazione, indipendentemente dalle cifre che indicherà la CIK.
Di questo sono colpevoli le autorità stesse. Una pressione così spudorata, uno schiacciamento così sfacciato delle persone sconvenienti – candidati e osservatori, un comportamento così scopertamente illegale dei funzionari, una così evidente dimostrazione della propria partigianeria da parte della CIK non li avevamo ancora visti. Perciò qualsiasi risultato sarà valutato una truffa. Impaurito dalla caduta nei sondaggi e cercando di premere tutti i pedali della propria "verticale", il "partito del potere", pare, si è tolto la vita
Infatti in realtà governatori e sindaci che si sveglieranno lunedì mattina, dopo aver imbastito con tanta fatica i piani per le percentuali e sapendo quanto ciò è costato, si renderanno conto di vivere già in una nuova epoca. Che il PŽiV è un peso che può solo affondare. Com'è affondato da solo. Adesso questo è un buco nero capace di divorare qualsiasi risorsa.
E proprio la stessa questione, la stessa evidenza si porrà lunedì mattina davanti a Putin V.V., intenzionato a ridarsi la poltrona presidenziale. In precedenza "Russia Unita" aveva giocato il ruolo di un qualche basamento di ghisa sotto il suo busto di bronzo. Adesso questo basamento si è trasformato in un secchio di zinco rovesciato e ogni oggetto posto su di esso sembra spazzatura.
Ma se si guarda la faccenda un po' più attentamente, capiremo che la sconfitta di "Russia Unita" non riguarda "Russia Unita", riguarda lui – Vladimir Putin. In precedenza le sue risorse bastavano per trascinare nell'Olimpo politico questo caos di maniaci dei quattrini in qualità di basamento per il proprio busto. Adesso non basta. La sconfitta di "Russia Unita" è l'esito visibile della riduzione del suo credito.
Il secondo esito delle passate elezioni è questo: ha messo a nudo il brusco indebolimento delle posizioni di Vladimir Putin e la prospettiva di una rapida erosione di quegli istituti del potere che sono stati costruiti da lui sulla sabbia della propria popolarità. La sabbia è infatti una cosa strana. Quando ce n'è molta, è una potenza terribile. Ma quando ce n'è poca, non è niente.
Effettivamente, per ora il fatto sta che il rating del sig. Putin cala con stupefacente rigidità. E il suo fluido ritorno sulla poltrona presidenziale, che ancora un mese fa sembrava evidente, adesso di copre di un muschio di dubbi e indeterminatezza. Così, per esempio, secondo i dati del Centro Levada [4], in risposta alle domande: "Per chi voterebbe, se le elezioni si tenessero domenica prossima?" – Putin solo a novembre perse 11 punti. Il numero delle persone pronte a votare per lui si ridusse dal 42 al 31%. Tutta la mitologia del "leader nazionale" comincia ad andare a rotoli. Ma infatti alle elezioni presidenziali mancano ancora quattro mesi.
Cos'è accaduto al rating di Putin? Perché l'annuncio dell'arroccamento del tandem, che ancora qualche mese fa si sentiva come il formaggio nel burro [5], beveva latte in maniche bianche davanti alle telecamere – né più, né meno che semidei tra i mortali – è diventato l'innesco dell'irritazione generale?
La risposta, mi pare, non è così complicata e misteriosa. All'inizio degli anni 2000 Putin ottenne dalla popolazione e dalle élite un amplissimo mandato. Nei paesi dove la società non è capace di controllare il potere, tale sistema si chiama "democrazia delegativa": dice, governa come sai, ci affidiamo a te. Nel 2004 e nel 2008 le cose andarono bene e la popolazione non ebbe motivo di togliere questo mandato. E conseguentemente – come usa nella democrazia delegativa – non gli interessarono neanche tutte le questioni procedurali: la censura dei mezzi di informazione di massa, le elezioni ingiuste, le deformazioni dei fatti, la pressione sull'opposizione. Sorse l'impressione che a questa, la popolazione, non interessasse affatto quel mandato che aveva conferito a Putin, che la società avesse rinunciato ai propri diritti su di esso.
Ma qui è anche cominciata la storia di una tragica incomprensione reciproca. Mentre la popolazione riteneva di aver conferito a Putin l'etichetta del potere da zar e non lo richiedeva indietro perché non ne aveva particolari motivi, Vladimir Putin era sempre più incline a pensare che questa etichetta gli appartenesse di diritto per il suo talento e i suoi meriti. Nel 2011 la popolazione ha scoperto che non era per nulla convinta di voler lasciare l'etichetta a Vladimir Putin. Non tanto perché fosse categoricamente contrario, ma non era convinta. Vladimir Putin era proprio convinto che l'etichetta fosse sua, data a lui meritatamente e per sempre e che non ci fosse da parlarne. Ma quanto più Vladimir Putin insiste su questo, quanto più appare un usurpatore agli occhi della popolazione. E tanto meno, di conseguenza, ha diritto all'etichetta.
Questa, mi pare, è in linea generale la molla della crisi politica che comincia in Russia.
"Novaja gazeta", http://www.novayagazeta.ru/columns/49816.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)
[1] Central'naja Izbiratel'naja Komissija (Commissione Elettorale Centrale).
[2] Dal russo Partija Žulikovi Vorov.
[3] Il complesso Olimpico di Mosca, dove recentemente Putin è stato contestato.