Nel mese di agosto, complice la Book world Tour Challenge, ho finalmente letto un libro che mi attendeva da tempo, Ogni mattina a Jenin, di Susan Abulhawa.
Questo romanzo è stato definito "il Cacciatore di Aquiloni palestinese", per il forte grado di emozione che le vicende narrate suscitano nel lettore.
Avevo una conoscenza abbastanza superficiale delle vicende che avevano portato alla costituzione dello stato di Israele nei territori palestinesi, perciò questo libro mi ha sconvolto più di quanto credessi.
Vediamo l'intero evolversi dell'occupazione israeliana dai primi anni e per i successivi sessanta (il resto è storia contemporanea, il massacro di Gaza è ancora in atto) attraverso le memorie della famiglia Abuleja.
Il patriarca Yehya nasce da uomo libero, e muore nel campo profughi di Jenin, per aver osato rientrare nel proprio oliveto ormai proprietà degli Israeliani.
La presa di coscienza inizia lentamente, il cervello umano inizialmente cerca di rifiutare un'atrocità tale, specialmente se perpetrata da un popolo che ha sofferto lo sterminio e il disprezzo sulla propria pelle. Per i palestinesi non ci sono più diritti né dignità, la sopportazione e una ferrea volontà di resistere sono le uniche armi che possiedono.
La nipote di Yehya ha l'opportunità di andare a studiare in collegio a Gerusalemme e poi in America, con tutti i sensi di colpa e di estraniazione che questo comporta, e sarà proprio lei a raccontare (a noi e a sua figlia nata negli Stati Uniti) la storia della propria famiglia e della propria terra.
Una storia drammatica e commovente, scritta magistralmente e con personaggi straordinari e verosimili. Lo consiglio a chiunque volesse conoscere le tappe di questa triste vicenda di usurpazione che ancora oggi causa migliaia di morti.
Alcuni dei miei passi preferiti :
“Tu cosa ne pensi? Voglio dire, del fatto di creare uno stato ebraico qui” chieseHassan, schiacciando un’oliva tra le dita per valutare come sarebbe stata laraccolta di novembre. La raccolta tirerà un po’ su di morale papà.“Non lo so, Hassan.” Ari abbassò lo sguardo, si sedette su una pietra e cominciòa passare le dita sulla sabbia. “Sono un ebreo. Cioè, penso che sia sbagliato. Manon sai cos’abbiamo passato.” La voce di Ari cominciò a tremare. “Ci ha uccisi, quello che è successo, anche se siamo riusciti a scappare. Non hai mai notatocome sono vuoti gli occhi di mia madre? È morta dentro. Anche mio padre.Hassan, tu non sai com’è. Nemmeno adesso ci sentiamo al sicuro. Mio padre èconvinto che quello che stanno facendo è sbagliato e non ne vuole sapere. Ma nonsiamo più al sicuro. Si dice in giro che gli inglesi se ne andranno. Allora saràinevitabile. Trasformeranno questa terra in uno stato ebraico. Ma credo che se gliarabi l’accetteranno, andrà tutto bene e riusciremo a convivere pacificamente.”Hassan si sedette per terra accanto ad Ari. “Ma hai appena detto che voglionouno ‘stato ebraico’.”“Sì, ma credo che permetteranno agli arabi di restare.” Le parole gli uscirono dibocca prima che potesse fermarle.“Quindi questi immigrati mi permetteranno di restare nel mio paese?” La vocedi Hassan si alzò.“Hassan, non intendevo dire questo. Per me sei come un fratello. Farei qualsiasicosa per te o per la tua famiglia. Ma quello che è successo in Europa...” Le paroledi Ari sfumarono nelle terribili immagini dei campi di sterminio che entrambiconoscevano.Hassan schiacciò un’altra oliva come se volesse comprimere le parole di Ari, chealeggiavano nell’aria come un tradimento.“Proprio così, Ari. Quello che ha fatto l’Europa. Non gli arabi. Gli ebrei vivonoqua da sempre. Per questo adesso ne arrivano così tanti, giusto? Pensavamo chefossero solo in cerca di un rifugio, dei poveracci che volevano solo vivere, invecehanno ammassato armi per cacciarci dalle nostre case.” ********La morte di Yehya alzò il velo su una verità che strinse alla gola la notte e la fecesospirare d’inquietudine. Perché un uomo non poteva camminare sulla suaproprietà, andare alla tomba di sua moglie, mangiare i frutti del lavoro diquaranta generazioni di antenati, senza pagare con la vita? Per qualche motivoquella brutale domanda non era ancora stata introiettata dai profughi, che invecesi erano smarriti nella vasta eternità dell’attesa, aggrappandosi ad astratterisoluzioni internazionali, alla sopportazione e alla resistenza. Ma quell’assiomafondamentale della loro condizione affiorò in superficie quando calarono il corpodi Yehya nel terreno, e la notte non portò ristoro.**********Ma nel nostro campo la sua storia era la storia di tutti, un unico racconto fatto di espropriazione, dell’essere denudati della propria umanità, essere buttati come spazzatura in campi profughi indegni dei topi. Dell’essere lasciati senza diritti, senza casa né nazione, mentre il mondo si voltava dall’altra parte a guardare e ad applaudire l’esultanza degli usurpatori che proclamavano il nuovo stato che chiamavano Israele.
*********Eppure, in qualche modo, Gerusalemme trasmette umiltà. Inme suscita un innato senso di familiarità – l’indubbia, irrefutabile sicurezzapalestinese di appartenere a questa terra Mi possiede, indipendentemente da chila conquista, perché il suo suolo è il custode delle mie radici, delle ossa dei mieiantenati. Perché conosce i desideri segreti che hanno infiammato i letti delle mieprogenitrici. Perché io sono il frutto naturale del suo passato ardente eburrascoso. Sono figlia di questa terra, e Gerusalemme mi rassicura di questo titolo inalienabile molto più degli atti di proprietà ingialliti, dei registri catastaliottomani, delle chiavi di ferro delle nostre case rubate, di tutte le risoluzioni o idecreti che potranno emanare l’Onu o le superpotenze.
***********Un piccolo sorriso ombreggiato dalla luna si dischiuse sulle sue labbra e si tuffònel mio cuore.***********
“Cos’hanno di tanto speciale le rose? Le hai mai guardate bene?Hanno le spine. Non sono particolarmente profumate. Sono difficili da coltivare efragili quando riesci a farle sbocciare. Preferisco mille volte un dente di leone auna rosa. Quello è un fiore. È umile, robusto, continua a spuntare anche se non fainulla. E fiorisce sempre con uno splendido sorriso giallo”.“Parli come un vero comunista” lo presi in giro. “E io cosa sono? Una rosa o undente di leone?”“Ah! Questa dovevo aspettarmela. Tu, mia cara... non sei un fiore, qualcosa chefiorisce un giorno e appassisce quello dopo. Tu sei il battito del mio cuore”
************Solo un linguaggio pratico poteva superare il nodo che avevo in gola, creato perun amore che vagava alla cieca nella fuliggine di una storia mancata. E in fondo, qualiparole possono riscattare un futuro derubato del suo tempo?La mia vita sapeva di cenere e vivevo nel perpetuo silenzio di una canzone senzavoce.