Consigli di scrittura – I clichè

Da Anima Di Carta
Lo scopo di uno scrittore – a prescindere dal genere di romanzo che scrive – deve essere sempre quello di trascinare il lettore nel suo mondo, di coinvolgerlo completamente nella trama e di spingerlo a provare empatia per i personaggi.
Utilizzare dei clichè, al contrario, è come sbalzare fuori da questo mondo il lettore, ricordargli che si tratta di un mondo fittizio. Perché i clichè sono sostanzialmente degli elementi che suonano falsi. E quindi fastidiosi.
Niente di male se certi modi di dire fanno parte del nostro linguaggio quotidiano. Innamorato pazzo, farfalle nello stomaco, occhi di ghiaccio, cuore di pietra, piovere a dirotto, sole che spacca le pietre, muto come un pesce, bianco Natale… sono parole che sentiamo e diciamo spesso. Ma nei romanzi è un altro discorso: vanno evitate!Occorre fare attenzione soprattutto alle metafore abusate. Rosso come un peperone, matto come un cavallo, bianco come il latte, caldo come l’inferno…
D’altra parte perché qualcosa di trito e ritrito dovrebbe interessare un lettore? Perché una dolce nonna che lavora a maglia dovrebbe essere intrigante? Non ci incuriosirebbe di più una dolce nonna che coltiva marijuana nell’orticello?
In definitiva esistono tanti tipi di stereotipi, quelli che riguardano i personaggi, le situazioni, i modi di dire. È importante imparare a riconoscerli intorno a noi e quindi a evitarli quando si scrive.
La prevedibilità affolla le sceneggiature di film e telefilm: bisogna imparare a conoscere il nemico…
Introdurre un pizzico di originalità e ironia nei clichè può essere comunque un modo per salvarli. Anche una storia apparentemente banale e già vista può diventare interessante se sappiamo presentarla in modo da costringere il lettore a identificarsi.Anche alcuni modi di dire usuali, se utilizzati nei dialoghi, per sottolineare un certo tipo di linguaggio, si possono adoperare.In ogni caso, meglio non abusarne.
In definitiva uno scrittore ha solo le parole per trasmettere delle emozioni. E la verità è che certe parole e certe idee ormai non trasmettono più nulla.
Eccovi qualche clichè tratto dal cinema (http://www.ragnacci.net):
  • Le investigazioni di polizia non sono possibili senza almeno una visita in un locale notturno con donnine nude o lascive.
  • Negli scontri con la spada oppure a base di arti marziali il numero dei cattivi è irrilevante. Comunque il buono viene attaccato da uno per volta, al massimo due, gli altri attendono minacciosi il loro turno per essere eliminati.
  • Per dare la caccia a un serial killer occorrono un capo della polizia imbecille e ottuso che ostacoli le investigazioni, un agente o una poliziotta bellocci che non abbiano paura del buio, un genio della scientifica che metta assieme indizi in modo esoterico.
  • Il futuro sarà molto tecnologico e tutte le porte saranno a scomparsa come quelle degli ascensori. Solo la moda si fermerà. Vestiremo tutti con dei pigiami argentati modello Rinascente anni '60.
  • La vittima del serial killer, già minacciata innumerevoli volte rientra tranquillamente a notte fonda da sola. Buio totale in casa ma avanza indolente e al primo scricchiolio chiama il cane.
  • Il trucco dal viso della protagonista non va mai via. Notti di passione, naufragi, permanenza nella giungla, tuffi o incidenti stradali non hanno alcun effetto. Quando si alza la mattina dal letto il viso non ha mai quei brutti gonfiori dei comuni spettatori.
  • L'arredamento dell'ufficio di un investigatore privato prevede veneziane alle finestre, fumo, schedari e una ventola sulla scrivania. Dentro i cassetti ci sono una bottiglia di whisky e una pistola. In realtà non si sa a che serva la scrivania se non a metterci i piedi sopra.
PS. A proposito... era una notte buia e tempestosa naturalmente ormai è un cliché!

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