Quanti anni ha l’Italia? 150 o inizia prima? Pensiamo ai più celebri scrittori, da Dante a Leopardi, o scienziati come Leonardo o Galilei, erano italiani questi? Oggi noi li includiamo nella storia del pensiero italiano, ma è una nostra forzatura per legittimare la nostra Unità oppure questa è solo una delle tante mete della storia di una nazione dalle mille sfumature?
La storia ci dà tanti buoni motivi per pensare che sia proprio così. Infatti la nostra penisola è da secoli conosciuta come Italia e i suoi abitanti, di qualsiasi principato esso siano, sono stati chiamati italiani, come se la definizione di Italia fosse una definizione della geografia fisica.
Lo spirito di appartenenza geografica ad un territorio segnato da un’antica e gloriosa storia passata come quella dell’impero romano ha sempre lasciato trapelare la possibilità che l’Italia sia sempre stata una nazione frammentata nei vari regni e principati.
Pertanto, possiamo dire che c’erano gli italiani e che i tempi erano maturi per l’unione politica? Perché mai Massimo D’Azeglio allora avrebbe detto che c’era da fare gli italiani all’alba dell’Unità del bel Paese?
Forse perché quel sentimento provato dagli intellettuali prima del Risorgimento era solo una sensazione neanche condivisa all’unanimità.
Il popolo che abitava la casa dell’ex impero romano era molto variegato nella lingua e nei costumi e l’analogia che spiega meglio la situazione di allora è quella con l’Europa: un territorio più o meno definito in cui popoli diversi parlano lingue diverse ma con una storia comune, costumi e usanze comuni e altre differenti.
Il Risorgimento quindi non ebbe come protagonista il popolo italico ma diversi uomini colti da quel sentimento nostalgico per il grande impero romano.
Dal 1861 il processo di italianizzazione ebbe inizio e fu non poco traumatico specialmente per quanto riguardava il servizio militare che toglieva le braccia più giovani e forti all’economia rurale del sud.
Inoltre la rinominazione della toponomastica delle città, la costruzione di monumenti e statue diedero un segno fisico all’unità delle città ormai italiane.
Dopo la prima guerra mondiale però non ha più senso chiederci se l’Italia esistesse prima del 1861, perché in quelle trincee di sangue si fondava la nuova Italia.
Militari del sud sentivano come fratelli quegli altri militari che non capivano bene quando parlavano ma che insieme stavano dando la vita contro lo straniero invasore.
Il fascismo poi fece il resto, con un amore morboso per questa patria ne svalutò quanto c’era di più sano del sentimento mutandolo in una fede, la fede nella Patria e nel Partito Fascista, fedi che si astrassero così tanto dalla realtà che dalla originaria unità si trovarono a fronteggiarsi per giocarsi il ruolo prioritario.
Con la fine del fascismo finisce anche la fede per la patria e il sentimento di unità scompare, si sta insieme per abitudine, ed è difficile credere a quei partigiani che dicono di aver trovato la forza e il coraggio della loro Resistenza in un puro amore per la Patria.
Cosa ci resta oggi nel 2011 dell’Italia e della sua Unità? Chi si sente italiano e perché? Credo che oggi l’unico motivo di orgoglio va cercato nel passato (anche se questa cosa la scrivevano già 100 anni fa) e nella Costituzione che rappresenta la carta d’identità del nostro Stato.
L’Italia è un paese così giovane eppure così bisognoso di una vera rivoluzione culturale che spazi via gli errori che negli anni ‘80 hanno fatto del magna-magna la politica istituzionale e le colpe del fascismo e del post-fascismo nell’integrità dei valori della nazione unita.
Oggi la crisi morale di questo Paese ci fa sentire la necessità di rifare l’Italia e si scende tutti in piazza, personaggi famosi che inaspettatamente sentono il dovere di prestare la propria faccia per un cambiamento.
Credo che una crisi morale e soprattutto una presa di coscienza di questa crisi siano il regalo più bello che si possa fare al 150° compleanno dell’Italia e dobbiamo cogliere il suggerimento di Massimo D’Azeglio e di Mazzini per rifare l’Italia, dobbiamo ripartire da noi stessi.
Mazzini, padre del Risorgimento (titolo riconosciuto a posteriori), nel suo “I doveri dell’uomo” scriveva tutto il suo pensiero in modo semplice e diretto in modo che chiunque potesse comprenderlo e condividendolo seguirlo.
Mazzini scriveva che la conoscenza dei propri diritti non basta agli uomini per operare un miglioramento importante e durevole della società, se ognuno non compie il suo dovere nei confronti della comunità e non predica il dovere anche agli uomini che governano.
Senza confondere la politica con la religione Mazzini individuava nella legge di Dio l’origine del dovere ed è in questa vocazione religiosa che fonda tutto il suo pensiero, un Dio che si incarna nell’Umanità verso quale tendono tutti i nostri doveri.
Frutto di questo pensiero sono i moniti che Mazzini ci fa e che oggi più che mai servono per rifondare l’Italia come per esempio: se vedete a due passi la corruzione e non cercate di combatterla, tradite i vostri doveri.
Nostro dovere è inoltre guardare al futuro e non al nostro immediato tornaconto, dobbiamo preoccuparci che la generazione ventura sorga “più alta e più potente”.
Mazzini già invitava gli uomini a trattare con parità le donne e a dirigere il nostro tempo a disposizione verso il progresso morale e intellettuale che passa per l’educazione e per l’istruzione.
Al di là della propria fede religiosa molti insegnamenti possono essere tratti ancora da questo testo che rimane purtroppo ancora molto attuale e anche se “la storia non si fa con i se e con i ma” io mi chiedo come sarebbe stata l’Italia nel 2011 se l’Unità fosse stata portata avanti dal repubblicano Giuseppe Mazzini.
Se ognuno facesse semplicemente il suo dovere saremmo in un Paese migliore, se ognuno di noi oggi facesse il proprio dovere per far sì che tra 100 anni il nostro Paese sia progredito, vivremmo in un Paese ancora migliore. Non c’è bisogno di smontare tutto e ricominciare da capo, basta togliere qualcosa, ammettere gli sbagli e costruire il futuro.