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Consigliere regionale radicale indagato per rimborsi illeciti

Creato il 25 aprile 2013 da Malvino

Procuratevi: Giovanni Spadolini, I Radicali dell’Ottocento, Le Monnier 1982; Alessandro Galante Garrone, I Radicali in Italia (1849-1925), Garzanti 1973; Emilio Gentile, Fascismo e antifascismo: i partiti italiani fra le due guerre, Le Monnier 2000; Annalisa Zanuttini, L’organizzazione del Partito Radicale (1955-1962), Gammalibri 1977; Fabio Morabito, La sfida radicale, SugarCo 1977; e leggeteli, così mi darete ragione, quando dico che «l’aggettivo “radicale” è stato usurpato e sporcato da Marco Pannella»Usurpato, perché è con lui che l’esser radicale si riduce, quasi da subito, con lo statuto approvato dal XXX Congresso (Bologna, 1967), all’avere in tasca una tessera del partito di cui diverrà ben presto proprietario. Come se per dirsi liberali fosse indispensabile essere iscritti al Pli di Stefano De Luca. Come se per dirsi socialisti fosse indispensabile essere iscritti al Psi di Riccardo Nencini. De Luca e Nencini non si azzardano ad avanzare questa pretesa, Pannella sì, perché è riuscito ad appiattire sulla sua persona gli ultimi 50 anni della storia radicale in Italia.Come ci è riuscito? Ne abbiamo già parlato molte volte su queste pagine: ha ripagato con generosità chi gli leccava il culo e ha reso impossibile la vita a chi osava contraddirlo.È così che quasi da subito il partito ha assunto la caratteristica struttura della setta: al centro, un leader carismatico e proprietario; d’intorno, i fedelissimi, psicologicamente e soprattutto economicamente dipendenti, sentinelle della fede, ministri del culto della sua persona, spietati stalker dei dissidenti; più allesterno di questa cerchia, i cosiddetti «militonti», corpo mistico della «cosa radicale» quando in piena comunione, sennò«brava gente» non immune dalla perniciosa disinformazione del regime quando si lamentano perché non riescono ad afferrare al volo le ragioni del salvare il culo a Cosentino o dellandare alle urne in compagnia di Storace. 


Si è radicali se si è figli del «radicalismo filosofico»di Jeremy Bentham e di James Mill? Si è radicali se si è nella tradizione politica antimonopolistica che va da William Cobbett ad Ernesto Rossi? Si è radicali se ci riconosce nei principi che ispirarono Agostino Bertani, Felice Cavallotti, Francesco Saverio Nitti, Gaetano Salvemini, Carlo Rosselli? Per i radicali di Marco Pannella, non basta: è indispensabile versare una quota annua di iscrizione. Così, se mi iscrivo un anno sì e un anno no, sono radicale a singhiozzo.Non solo. Giacché chiunque può iscriversi, può capitare che nell’anno in cui io non mi iscrivo sia più radicale di me uno che quell’anno si è iscritto, anche se della storia radicale, dalla Radical Reform di John Cartwright (1780) al «cretino»che Mario Pannunzio diede al giovane Marco Pannella dalle pagine de Il Mondo (7.4.1959), se ne sbatte altamente. Sì, perché al Partito Radicale si può iscrivere chiunque, anche se ha già in tasca unaltra tessera di partito, di un qualunque partito, anche di un partito che coi principi del radicalismo abbia in comune poco o niente.Non c’è da stupirsene, perché in Casa Pannella, da tempo, i principi sono sacrificati ad uno schietto pragmatismo. Quali vantaggi comporti tale pragmatismo, è difficile capirlo. Ma tantè: io, che non sono iscritto, non mi posso dire radicale. A buon titolo, invece, perché iscritto, può dirsi radicale il consigliere regionale della Basilicata che è attualmente indagato per rimborsi illeciti. Poi in Via di Torre Argentina si offendono quando sentono dire «son tutti uguali»da chi dimentica di aggiungere«tranne i radicali».      


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