L’incredulità, l’indignazione, la rabbia non bastano ad arginare l’ondata predatoria e criminale, diventano sterile rito, parole di circostanza da parte di chi dovrebbe agire e ancora non lo fa, ora devono diventare patrimonio esclusivo di chiacchiere da ballatoio condominiale o bar di paese.
No, per spiegare la pandemia di assassinii di donne occorre andare oltre, e dato che i numeri indicano che si tratta di un fenomeno sociale, la spiegazione va ricercata nell’interazione tra lo sviluppo economico- sociale e la psiche del singolo individuo.
Si tratta di intere generazioni nate e cresciute nel trionfo imperante di un consumismo che tutto assimila e brucia nel folle ciclo produzione- consumo.
In questo contesto consumare diventa un imperativo e un indice della propria affermazione e del proprio successo: tanto più consumo, tanto più sono visibile, ed è questa visibilità intimamente connessa al consumo , che mi rende potente , o almeno mi fa sentire tale, il che, nell’era del virtuale , è la stessa cosa.
Il possedere per consumare, per imporsi, per piacere e per godere non è riferibile solo a beni e cose, ma anche ai propri simili e quindi, in una desolata regressione a barbarie antiche, il possesso, non solo del loro corpo, ma anche della loro anima, diventa un parametro fondamentale dell’affermazione di se stessi ed uno degli elementi scatenanti di violenze prevaricatrici e vigliacche, quando tale possesso, per qualunque ragione, viene meno.
Le ultime, poi, sono le generazioni cresciute nell’imporsi planetario del liberismo selvaggio e dalla deregulation, attuati a partire dalla fine degli anni 70 dalla Thatcher e da Reagan: una doppia calamità che si è diffusa, trovando un perfetto habitat, in un mondo frastornato dal frantumarsi del modello sociale marxista-socialista e dalla ignavia e pochezza intellettuale di quei pensatori e di quelle forze sociali che potevano e dovevano opporsi e non l’hanno fatto, e che ha portato meno libertà e trasformato artificiosamente il Welfare in un peso insostenibile.
È il culto ideologico e fanatico dell’ “ognuno per sé “ che ha portato alla crisi attuale e reso il 99% della popolazione più povera.
È nella sabbia di questo deserto culturale e di valori che si disperde ogni rivolo non solo di umana solidarietà o anche di semplice empatia per i propri simili, ma anche di ogni consapevolezza che la propria liberazione e libertà non possono che venire attraverso azioni collettive.
In queste condizioni l’IO può facilmente regredire a forme primordiali , cioè ad un EGO che non può che essere orientato all’affermazione di sé e del proprio Potere.
Viene naturale pensare che madri e padri cresciuti e moltiplicatisi acriticamente in tale contesto, privi di esempi , strumenti culturali di analisi e comprensione della realtà che si trovano a vivere, non potranno fare altro che proiettare le proprie pulsioni ed aspirazioni frustrate sui figli che, in tal modo, diventano una propria appendice con cui perpetuare la giovinezza e, a tal fine, tutto concedere e sacrificare contribuendo così a renderli poveri esseri viziati ed insicuri, emozionalmente aridi, racchiusi in un microcosmo fittizio e immaginario di cui si sentono dei e sovrani cui tutto è dovuto e a cui nulla si può e si deve negare.
Un microcosmo avulso da ogni contesto reale di cui sono al, contempo, prigionieri e complici dei loro carcerieri, una sorta di “sindrome di Stoccolma” che porta ad assumere come modelli ideali di comportamento e di pensiero quelli più deteriori propagandati dai sacerdoti e dagli apologeti di un individualismo esasperato e quelli di chi, per ignoranza , stupidità o anche solo conformismo, non si è mai opposto.