Robert Zemeckis, dopo aver diretto film come “Forrest Gump“, “Ritorno al futuro” e “Chi ha incastrato Roger Rabbit?“, si dedica nuovamente alla fantascienza (dopo appunto la trilogia dei viaggi nel tempo) con il più modesto “Contact“, tratto dall’omonimo romanzo di Carl Segan. La particolarità della pellicola risiede nell’oculata scelta di scongiurare un nuovo “Incontri ravvicinati del terzo tipo” dell’amico Spielberg o un novello “Alien” di Ridley Scott, ma di concentrarsi su aspetti spesso sottovalutati dal cinema di fantascienza. La storia è quella di una scienziata (Jodie Foster) che sin da bambina coltiva la passione per le trasmissioni radio, e che da adulta si troverà a presiedere il progetto SETI, ossia un progetto di ricerca di intelligenza extraterrestre attraverso radio telescopi. Denigrata da chiunque si senta un luminare della scienza, ridicolizzata dai fanatici religiosi, si troverà con un manipolo di uomini a combattere per raggiungere il proprio obiettivo: dimostrare che c’è vita nello spazio (“L’universo è un posto molto vasto, è più grande di ogni cosa che chiunque abbia mai immaginato finora. Se ci fossimo solo noi sarebbe uno spreco di spazio.“). Ovviamente, seppur con grande fatica, ci riesce, ed a quel punto chiunque avesse tentato di screditarla, si ritrova a fare a gara per prendersi i meriti (più di tutti il capo David Drumilin, interpretato da Tom Skerritt, che aveva sempre ironizzato sul progetto). Nell’ultima parte del film, dopo una prima, piuttosto breve seppur intensa, dedicata all’infanzia della scienziata, ed una seconda, molto più prolissa, dedicata alla ricerca, verrà costruita una macchina per viaggiare alla velocità della luce per andare a trovare questi alieni chiacchieroni che hanno contattato la terra. Forse a leggerla così verrebbe da pensare che le novità, marchio di fabbrica del cinema di Zemeckis, siano poche e non di grande rilievo. Ma come anticipato, la particolarità della pellicola va rintracciata nella scelta di girare un film fantascientifico con una marea di controindicazioni riguardanti politica e religione. Se da una parte tutto questo esperimento fantascientifico raccontato nel film altro non è che un pretesto per raccontare un esperimento sociale che sottolinea la piccolezza dell’uomo, tra fanatismi, egoismi e cinismi, seppur intervallati da buon senso e “brave persone”; dall’altra si pongono questioni morali piuttosto coraggiose. La cocciutaggine di molti fedeli (Pare ovvio che la presenza di altre forme di vita nell’universo distruggerebbe ogni dogma su cui si fondano tutte le religioni), fa da contraltare ai paraocchi di molti scienziati che non credono in ciò che non si può dimostrare (“Volevi bene a tuo padre? Dimostralo!” E’ ciò che dice il pastore interpretato da Matthew McConaughey alla scienziata), e su tutto questo gioca il film. Di certo è coraggioso che la protagonista del film affermi con assoluta certezza che Dio non esiste, anche se un finale politically correct vanifica ciò che di tanto arduo era stato proposto. Certo è che lo spettatore non vedrà omini verdi dalle teste enormi, nè tantomento mostri con i denti aguzzi, ma si confronterà con uno dei dibattiti più longevi della storia, e, probabilmente, una volta che i titoli di coda iniziano a scorrere, si cercheranno risposte nella propria mente o nel proprio cuore. Questa sicuramente non è la miglior pellicola di Zemeckis, che ci ripropone in minima parte le tecniche CGI già viste in “Forrest Gump” e che permettono ai protagonisti di interagire con Clinton all’interno di filmati di repertorio, ed il finale tra il mistico e l’abbozzato non rendono di certo merito al regista statunitense, tuttavia si può parlare di un film che permette di riflettere e che rende piacevoli oltre due ore senza annoiare. In poche parole Zemeckis riesce ad intrattenere con i grandi temi dell’umanità, e non è una missione affatto semplice.
Voto 6,5/10