Schwarzenegger zombie father e zombie hunter…
Contagious – Epidemia mortale (Maggie) di Henry Hobson è un’ulteriore e interessante variazione sul tema degli zombi, un’opera introspettiva, che guarda all’anima dei suoi personaggi più che al loro aspetto sfigurato ed emaciato. Cosa non farebbe un padre per sua figlia? A quanto può arrivare l’innato senso di protezione di un papà per la figlioletta malata di un morbo incurabile? Sono queste le domande che accompagnano il bel film di Hobson. A dare corpo a questi interrogativi è un superbo Arnold Schwarzenegger in una performance che abbaglia e stona (in positivo) se guardiamo indietro alla sua carriera. Per capirci, è un esito che ricorda quello ottenuto da Nicholas Cage in Joe di David Gordon Green. Attori che crediamo finiti, al tramonto, anchilosati in ruoli fissi e asfissianti (nel caso di Schwarzenegger il picchiaduro o il cyborg restio a morire), i quali (ri)vivono, anche solo per l’abbaglio di un film, una seconda vita, una nuova vita. Schwarzenegger è preciso, empatico, vero in un mondo sempre più mostruoso e irreale, che scolora in un grigio pallidume da film apocalittico solcabile solo e soltanto a bordo del più classico e americanoide pick-up.
“Siamo umani… siamo umani?” è la scritta impressa su un muro e adocchiata in camera-car in una delle prime sequenze di Contagious. Sì, siamo umani, uomini e non. Infatti, nel suo essere impaurita ma paziente e amorevole col non-prossimo, è umana l’umanità non contagiata. Ma è umana anche Maggie, la zombie daughter di Schwarzenegger, così umana da sfruttare l’ultimo briciolo del sua facoltà d’intendere e di volere in un finale stupefacente e riabilitante l’immagine di tanti zombi incontrati sulle strade del cinema fino ad oggi.
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