La società nella pellicola diretta da Henry Hobson infatti ha intenzione di andare avanti e di non arrendersi: studia l'infezione, cerca antidoti e mette a disposizione centri di quarantena che aiutano - o così dicono - ad affrontare la morte, evitando esecuzioni spiacevoli e dolori inutili. Niente a che vedere, dunque, con il ritorno alla violenza o l'entrata in vigore della legge del più forte. In "Contagious" mantenere l'ordine è basilare, perdere il controllo è vietato e assumere le distanze dal genere horror maggiormente consumato e di puro intrattenimento, una drastica propensione che tuttavia comporta più feriti che superstiti.
Vuole distaccarsi dalla massa Hobson, vuole che il suo lavoro si distingua e dimostri di poter affrontare un argomento grandemente logoro da posizioni insolite e inaspettate. Il primo a cadere in difficoltà però sembra essere proprio lui, sempre in affanno, sempre in ritardo, costantemente alla disperata ricerca dell'inquadratura o della narrazione sorprendente, ma che anziché catturare e persuadere, nel suo caso appesantisce, procurando alla lunga persino degli esordi di sfinimento.
Ma francamente nulla o quasi, rispetto a quello su cui Hobson contava, serve a "Contagious" per mettere in risalto almeno uno dei suoi pro, in quella che è una pellicola che, purtroppo, avrebbe fatto decisamente meno danni se avesse seguito un tracciato scritto e ordinario.
O perlomeno studiato attentamente, e come si deve, i suoi surrogati, già promossi da critica e pubblico, per capire laddove è importante puntare la camera e registrare e laddove invece è ammissibile spegnere o elargire gravità inferiori.
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