Thaksin Shinawatra è un magnate thailandese, con vasti interessi economici anche nel settore televisivo. Sceso in politica, il «Berlusconi d’Asia» fu eletto premier nel 2001. Definito come populista, riuscì ad essere il primo premier thailandese a giungere a fine mandato. Beniamino dei ceti medio-bassi, ed avversato dall’intellighenzia, dall’establishment economico-finanziario e dalla magistratura, nel 2005 fu rieletto. Fu più volte accusato di conflitto di interessi. I suoi oppositori nella primavera 2006 organizzarono grandiose manifestazione antigovernative. Nel settembre dello stesso anno ci fu un colpo di stato mentre Thaksin Shinawatra era all’estero. Da allora ha vissuto in esilio. Nel 2007 il PPP, formazione politica erede di quella del deposto premier, vinse le elezioni. Nel 2008 i suoi oppositori organizzarono grandiose dimostrazioni antigovernative. La Corte Costituzionale dichiarò allora decaduto il premier Sundaravey per un conflitto d’interesse: aveva partecipato a una trasmissione televisiva di promozione gastronomica in qualità di consulente. Fu allora nominato premier un altro membro del PPP, il genero di Thaksin. I suoi oppositori organizzarono grandiose dimostrazioni antigovernative. La magistratura thailandese allora disciolse il PPP e i partiti della coalizione di governo per frode elettorale. Il partito democratico (conservatore), senza passare per le elezioni, nominò allora primo ministro Abhisit Vejjajiva.
Nella primavera del 2010 i sostenitori del «Berlusconi d’Asia» pensarono che fosse giunto anche per loro il momento di organizzare grandiose manifestazioni antigovernative. Ci furono una novantina di morti. Forse perché i berluscones thailandesi si facevano chiamare «camicie rosse», forse perché non molto ferrata in materia, o forse perché impressionata degli eroici resistenti thailandesi, una commossa Concita de Gregorio prese un clamoroso abbaglio e sull’Unità scrisse: «A quale sacrificio siete disposti per difendere la democrazia? Ciascuno di voi, individualmente, che cosa ci metterebbe di suo? Guardavo le foto del lago di sangue davanti al Palazzo di governo di Bangkok, ieri – trecento litri di sangue versati volontariamente dai manifestanti, qualche goccia a testa – pensavo che certo è un gesto simbolico formidabile capace di evocare all’istante i milioni di persone che il sangue e la vita ce li hanno messi tutti, per la democrazia. A noi, qui, basterebbe molto meno. Le dimissioni, per esempio.» Le dimissioni di Berlusconi, s’intende.
Nel 2011 il partito dell’esule Thaksin ebbe la spudoratezza di vincere ancora le elezioni. La sorella minore di Thaksin, Yingluck Shinawatra fu nominata primo ministro. Nell’ottobre del 2013 il governò presentò una proposta di legge di amnistia per i reati relativi alla crisi politica 2001-2006. I suoi oppositori – ça va sans dire – organizzarono grandiose dimostrazioni antigovernative che portarono alla caduta del governo e alla dissoluzione del parlamento. Yingluck Shinawatra continuò a governare ad interim in attesa delle nuove elezioni previste nel mese di febbraio del 2014. Le elezioni non si sono mai tenute, a causa del boicottaggio dell’opposizione. Nel maggio del 2014 Yingluck Shinawatra è stata destituita dalla Corte Costituzionale per «abuso del potere politico a fini personali». Subito dopo è arrivato il colpo di stato. La Shinawatra è stata arrestata, insieme ad un centinaio di politici, e dopo qualche giorno rilasciata. I militari negano il colpo di stato anche se hanno imposto “in via temporanea” la legge marziale e la censura dei media. Per i media occidentali, invece, e specie per quelli italiani, naturalmente, è stata un’occasione magnifica per ostentare quell’eroico solidarismo resistenziale da salotto che tanto gratifica l’anima accidiosa: sono gli stessi che per tre lustri hanno fatto il tifo contro l’Impresentabile di Thailandia.
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