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Contos: babbo va in miniera

Creato il 17 aprile 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

800px-La_peonia_del_Gennargentudi Daniela Manca. Era partito con altri giovani ogliastrini, gli avevano detto che nelle miniere c’era lavoro per tutti. Era tempo di guerra, tempo di fame. Dopo un lunghissimo viaggio in treno attraverso la Sardegna l’arrivo nel bacino minerario del Sulcis lo impressionò molto: gli diede l’idea di un’enorme formicaio brulicante di attività. La miniera era tutto un eccesso: di umanità miserabile che si aggirava per ogni dove, fra le baracche-alloggio, all’ingresso dei pozzi, nei locali del dopolavoro; di sfarzo e ricchezza ostentata nei sontuosi locali della compagnia mineraria, nelle affrescate residenze liberty che accoglievano le famiglie dei padroni.

Tant’è, mio padre era li per lavorare e cercò subito lavoro. Decise dal principio che il lavoro in galleria, dopo quell’interminabile discesa sotterranea stipato negli ascensori non faceva per lui e si fece assumere come operaio carpentiere in superficie. Il lavoro non mancava e lui non perdeva occasione per incrementare il salario con straordinari e lavori extra, non lo faceva per avidità, la paga era quantomeno misera. Aveva un carattere piuttosto schivo era parsimonioso e amava la lettura nonostante avesse frequentato solo la terza elementare, evitava le compagnie chiassose e le goliardate; da subito aveva notato che molti compagni, soprattutto fra quelli scapoli, spendevano la paga giornaliera e perfino quella dell’intera settimana al bar o in trattoria.

Una sera gli fu proposto di sostituire al turno di notte l’operaio addetto alle pompe. Accettò di buon grado, oltretutto il lavoro alle pompe era uno fra i più ambiti; consisteva nell’azionare a mezzo di un interruttore, a intervalli di venti minuti, le idrovore che drenavano l’acqua che si raccoglieva nel fondo dei pozzi. L’alloggiamento dell’apparato era in una piccola baracca un po’ periferica rispetto al resto dell’impianto, sulla strada che dal paese portava alle miniere; e godeva della dotazione di una stufa ben alimentata che scaldava l’ambiente.

Il lavoro era tutt’altro che faticoso ma comportava una notevole responsabilità perché da quel semplice gesto dipendeva l’incolumità dei minatori che cavavano rocce a centinaia di metri sotto di lui (e sotto il livello del mare); perciò babbo temeva che il sonno lo cogliesse, spossato com’era dalla fatica del lavoro quotidiano. Di tanto in tanto usciva all’esterno a schiarirsi le idee. L’aria era gelida, sotto il cielo stellato l’umidità si condensava in brina, sembrava nevicasse. Durante una delle frequenti sortite all’aperto gli sembrò di sentire uno strano rumore, o verso, indecifrabile. Poteva essere il brontolio intermittente di un motore lontano, ma no! Forse il ringhio basso di un animale nei paraggi ma non riusciva a stabilirne la specie. Rimase a lungo in ascolto, incerto, a momenti gli sembrava di poterlo associare al borbottio di un vecchio…

Tornò al caldo della baracca, dopo un po’ qualcuno bussò alla porta: era un minatore che desiderava scaldarsi al calore della stufa. Babbo accolse di buon grado l’ospite, lieto di avere qualcuno con cui parlare per far trascorrere il tempo. Era un uomo di mezza età, sulcitano, minatore da sempre col quale avviò una piacevole conversazione; non si sentiva però tranquillo e dopo un poco volle uscire ancora, sfidando il freddo, a verificare se tutto era a posto. Si sentiva ancora lo strano rumore, ora sembrava un rantolo, appena più chiaro di prima ma dall’origine ancora ignota. La strada che dall’abitato di Baccu Abis conduceva alla miniera era un lungo rettifilo, appena movimentato da un leggero saliscendi del terreno che ne nascondeva un breve tratto, per il resto era ben visibile al chiarore lunare ed era sgombra. Non volendo darsi per vinto babbo percorse un breve tratto di strada fino a portarsi sul dosso che gliene nascondeva un pezzetto; li trovò la soluzione del mistero: un uomo stava al centro della strada, fermo, con le gambe leggermente divaricate. Sembrava piantato li, accennava appena un movimento delle ginocchia come a voler fare dei passetti ma non si spostava affatto, e mugugnava un continuo borbottio incomprensibile. Babbo gli andò vicino, era un omone enorme, cercò di interrogarlo ma non era in grado di parlare, era praticamente assidera to. Corse a chiamare l’altro per farsi aiutare ma quello, visto di chi si trattava, rifiutò di intervenire: “Lascialo stare, è ubriaco.”

“Cosa lasci stare! Non vedi che sta morendo di freddo?”

Non ci fu verso e babbo tornò solo a cercare di soccorrere il malcapitato. Tentava di farlo muovere ma era bloccato, d’altra parte se fosse caduto a terra non ci sarebbe stato modo di trascinarlo tanto era grande e grosso e si che mio padre era un giovane robusto. Un po’ tirando e un po’ spingendo riuscì alla fine a farlo arrivare all’alloggio delle pompe. Era rigido e continuava a farfugliare in maniera incoerente; lo svestì del capotto gelato e delle scarpe, caricò per bene la stufa, l’uomo tremava come una foglia.

L’altro minatore non era dello stesso avviso: “Mandalo via, caccialo fuori!”

“Ma che fastidio ti da?” Cercava di farlo ragionare babbo.

Ma lui testardo: “É un minatore continentale che si ubriaca sempre, ieri era a Baccu Abis, ubriaco, e ha scatenato una rissa con dei minatori locali, è un cattivo soggetto.”

“Ma a me cosa importa? Lo faccio scaldare un poco e poi lo lascio andare.”

“Mandalo fuori!” insisteva quello “lo sai che nel locale delle pompe non può stare nessuno, mandalo via!”

Era vero e babbo lo sapeva, inutile peraltro cercare di farlo ragionare sul fatto che neanche lui sarebbe potuto essere li a scaldarsi, ma quello che temeva era che lui stesso aveva dato il cambio a un collega per favore e magari sarebbero potute sorgere questioni che rischiavano di risolversi in provvedimenti disciplinari.

Quando stabilì che l’ingombrante ospite avesse buone possibilità di farcela lo invitò a riprendere il cammino. Gli scaldò ben bene l’interno del cappotto e le scarpe: lo accompagnò per un breve tratto e lo piazzò proprio in mezzo alla strada: “Adesso cammina, ce la puoi fare, sono poche centinaia di metri, dai!”

L’uomo continuava a ringraziarlo ma babbo tagliò corto: “Lascia perdere, pensa a camminare ma muovi le gambe, non come prima, sennò ti trovano morto domattina!”

Lo seguì per un poco con lo sguardo poi dovette tornare nell’alloggio, invitò l’altro a levarsi dai piedi ché a quel punto la sua compagnia gli riusciva insopportabile.

Il giorno seguente si informò dai colleghi e seppe che il disgraziato era riuscito ad arrivare sano e salvo agli alloggi. Quell’episodio lo colpì parecchio e rafforzò la sua volontà di andare via, aveva covato questa decisione da un po’ di tempo ma attuarla non era semplice, quasi impossibile. Le condizioni di lavoro si erano fatte durissime, i minatori erano sottoposti a un regime militaresco, il loro vitto era una razione che via via si era fatta più scarsa e scadente.

Riporto solo un episodio: babbo aveva ricevuto la razione settimanale dello zucchero – un cartoccio di circa trecento grammi – lo aveva riposto in uno stipetto ed era andato a dormire. Nonostante la stanchezza il sonno non veniva e si girava e rigirava nella branda pensando allo zucchero, la fame lo tormentava; alla fine si alzò e mangiò tutto lo zucchero, la razione dell’intera settimana, dopo tornò a letto e dormì, finalmente libero da quella tentazione.

Ad aggravare la situazione era il fatto che i minatori non potevano liberamente fare acquisti dovunque ma erano costretti a servirsi dello spaccio interno che apparteneva alla compagnia mineraria e vendeva in condizione di monopolio con prezzi da strozzinaggio. Per completare il quadro, proprio come i soldati, i minatori non potevano licenziarsi, erano costretti al lavoro.

Babbo meditava di andarsene e si informò cautamente fra i colleghi se ci fosse qualche possibilità; gli indicarono un sorvegliante disposto ad aiutarlo. Lo contattò e prese accordi, in pratica l’uomo era disposto a compilare una istanza di licenziamento per causa di scarso rendimento sul lavoro, questo sarebbe costato a babbo una buona fetta dei soldi che era riuscito a mettere da parte. Io che ho conosciuto l’onestà e la laboriosità di mio padre mi commuovo ogni volta che racconto questo episodio: ha dovuto corrompere un sorvegliante per una dichiarazione che attestasse che non faceva il suo dovere!

Il capo del personale quando ebbe fra le mani la richiesta mandò subito a chiamare babbo, deciso a bocciare l’istanza. Infatti quando babbo comparve lo affrontò duramente: “Manca, a chi vuoi darla a bere questa? Quando sei arrivato qui io ti ho osservato: eri un leone!”

A quel punto babbo tralasciò la penosa commedia e gli disse francamente: “Ma non lo vede che stiamo morendo di fame? Lo vede o no come sono ridotto? Che cosa pretende da noi?”

Di fronte a questo sfogo non disse una parola, scarabocchiò la firma sulla richiesta e si allontanò brusco.

Così babbo poté lasciare la miniera, tornò in Ogliastra dove comunque poteva coltivare un po’ di terra per sfamarsi e trovò lavoro presso il cantiere per la costruzione della diga sul Flumendosa, presso Villanova Strisaili. Ebbe una grande fortuna perché con l’onta del precedente licenziamento per scarso rendimento aveva ben poche possibilità. Il responsabile del personale nel nuovo cantiere era un ingegnere continentale, “Un antifascista, un grand’uomo” diceva sempre babbo, purtroppo ho dimenticato il nome di quell’uomo che non ha tenuto in nessun conto quel certificato fraudolento e ha assunto babbo, un grande operaio, fino alla chiusura del cantiere, al completamento dell’opera.

Featured image una bellissima peonia del Gennargentu, autore Max.oppo, fonte Wikipedia.

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