Mathias Barbagallo è un ragazzo italiano che ora vive a Stoccolma. Qualche anno fa ha intrapreso un viaggio che lo ha portato in giro per tutto il Giappone. Con le sue macchine fotografiche, rigorosamente analogiche, ha immortalato ciò che più lo ha colpito. Grazie a uno sviluppo casalingo abbiamo testimonianza del suo viaggio tra metropoli e paesaggi deserti.
Michela Biasibetti
Quando ero piccolo c’era il mito del Giappone avanzatissimo; probabilmente era così, e forse è ancora un po’ così. Ora ai miei occhi, le architetture delle metropoli, i treni ancora velocissimi, le insegne luminose, sembrano ferme ad una decina di anni fa. Una modernità un po’ datata. Un po’ come i controllori sugli Shinkansen sfreccianti a 300 km/h che si inchinano all’entrata e all’uscita di ogni carrozza. O come quando passeggiando ad Asakusa a Tokyo, sembra di essere dentro ad un cartone animato giapponese: stradine deserte, pulite e piene di casettine e ristorantini con una tendina all’ingresso. Contrasti su contrasti. La solitudine delle persone curve sul loro cellulare nelle metro di Tokyo; la pace di anziani contadini seduti sul pavimento delle loro case di legno mentre osservano la campagna. Enormi centri commerciali di cemento grigio; templi buddhisti e shintoisti di centinaia di anni immersi in tranquilli giardini. Costosissimi pasti con decine di piccolissime e coloratissime portate; una boccia di noodles fumanti da poche centinaia di yen. Le preghiere scritte nei templi; piani interi di librerie dedicati ai manga. Gli acquarelli dipinti sulle porte in carta di riso dei castelli medioevali; le insegne al neon delle sale di pachinko e dei club di Shinjuku. Le architetture dei negozi di alta moda a Omotesando; il palazzo sventrato a Hiroshima dall’atomica. Gli sguardi sfuggenti sulle metro; i sorrisi e gli inchini di benvenuto.
Queste foto desiderano fissare alcuni di questi momenti. Ho usato una Kiev 88 e una Nikomat NT, pellicole 120 e 135; sviluppo casalingo.
Mathias Barbagallo