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Canto di donna
Canto di donna che si sa non vista
dietro le chiuse imposte, voce roca,
di languenti abbandoni e d’improvvisi
brividi scorsa, di vuote parole
fatta, ch’io non discerno.
O voce assorta, procellosa e dolce,
folta di sogni,
quale rapiva i marinai in mezzo
al mare, un tempo, canto di sirena.
Voce del desiderio, che non sa
se vuole o teme, ed altra non ridice
cosa che sé, che il suo buio, tremante
amore. Come te l’accesa carne
parla talora, e ascolta
sé stupefatta esistere.Sergio Solmi
da: Ritorno a una città, 1926
A pagina 54 de Il pensiero poetante. Saggio su Leopardi, del 1980, al centro del capitolo intitolato Lo scacco del pensiero: per un’esegesi dell’infinito, Antonio Prete dichiara:
Non esperienza del piacere, ma parola del desiderio. Il piacere della scrittura è forse il solo piacere di cui si ha esperienza mentre si scrive. Nonostante il desiderio d’infinito, «… l’animo umano o di qualunque vivente non è capace di un sentimento il quale contenga la totalità dell’infinito» (Zibaldone, 610, 4 febbraio 1821).
Il seguito della lettura chiarisce molte cose, non solo del canto leopardiano. E qui non interessa illustrarle tutte. Si rinvia alla lettura sistematica del saggio di Prete. L’assunto leopardiano è più che una tesi filosofica illustrata con i mezzi della poesia. Costituisce, tuttavia, un inizio per noi.
Sulla via del chiarimento su che cosa si debba intendere per ‘intelligenza emotiva’ ci viene incontro l’idea che si debba dare voce al desiderio. Roland Barthes ha scritto: «Si scrive con il desiderio, e io non smetto mai di desiderare».
Non mi interessa partire, come pure ho fatto, dalla nozione di intelligenza emotiva, per passare subito a distinguere tra istinto, bisogno, desiderio: al cuore di tutte le questioni incontriamo lo statuto dell’amore e l’irriducibilità del desiderio.
Si potrebbe dire, anticipando una conclusione personale, che ci spendiamo la vita improvvisandola sotto lo sguardo dell’altro. Noi siamo quotidianamente impegnati a contrattare con il mondo – gli altri – i significati da dare alle cose: battaglia per il riconoscimento, comunicazione significativa, produzione di senso, discorso intervengono di volta in volta a definire i termini della battaglia.
Una mia amica ha scritto:
Un’altissima quantità di incontri umani viene distrutta da una scarsa tolleranza agli equivoci.
Ecco. Non si tratta di dire ‘semplicemente’ la verità, come se essa fosse a portata di mano, o come se fosse il resoconto credibile di quello che è accaduto ieri alle 17.30. Se non intervengono pazienza e ascolto, accettazione e dialogo, non si costruisce nulla.
Ho sempre raccontato ai miei alunni il seguente dialoghetto ‘lacaniano’:
- Tu non mi ami più.
– Non è vero: io ti amo.
– Ecco! Vedi! Non mi ami più!
che illustra bene l’idea della domanda del desiderio, della sua pretesa. Il desiderio è irriducibile pretesa all’impossibile. Esso vuole tutto. Vuole l’Altro dell’altro: vuole impossessarsi dell’anima dell’altro. Vuole esercitare il proprio dominio sul cuore dell’altro, ma nello stesso tempo sa che è impossibile, perché l’altro non è un oggetto di cui si possa esercitare la proprietà. Il desiderio è irriducibile, perché insaziabile, eternamente proteso com’è verso l’oggetto d’elezione. Realisticamente, esso si acconcia a chiedere l’impossibile. E’ importante per noi non transigere su di esso: non consentire che sia messo a tacere. Ma su questo occorre necessariamente ritornare. Tutto nasce da qui. Tutto rischia di naufragare su questi scogli.
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