Dopo il luglio del 1936, i militanti della CNT-FAI si rivolsero ai lavoratori, invocando più lavoro e sacrifici, nel quadro della difficoltà dei tempi. Però avvenne che, invece di assumere con entusiasmo il loro ruolo di operai - adesso padroni dei loro mezzi di produzione - i lavoratori di base cominciarono a comportarsi come se adesso fossero i sindacalisti, la nuova élite dirigenziale, e continuarono a mettere in atto le antiche pratiche operaie di rallentamento del lavoro. Il lavoro a cottimo, insieme ai premi di produzione, era stato abolito nel luglio 1936, e malgrado ci fosse stato un incremento del numero del personale lavorante, insieme ad aumenti salariali ed accrescimento del tempo di lavoro, la produzione continuava a diminuire. Per cui, i consigli di fabbrica chiesero ai sindacati di ristabilire un sistema di premi di produzione, unitamente ad un controllo rigoroso sui lavoratori. Così, ad esempio, nel caso dell'officina metallurgica "Casa Girona", dove 1.800 operai producevano materiale bellico, venne nominata una commissione incaricata di indagare sulle "anomalie", la quale concluse che benché il nuovo sistema di premiazione urtasse contro "le nostre più intime convinzioni", bisognava ricorrervi in quanto gli operai che, spinti dai "loro istinti egoisti", si rifiutavano di produrre senza una motivazione monetaria, erano la maggioranza.
Questi lavoratori "irresponsabili e senza coscienza", a detta dei sindacalisti della CNT, sarebbero stati manovrati dagli agitatori comunisti della UGT (inutile dire che nelle fabbriche dove era maggioritaria la UGT, anziché la CNT, si riscontrava lo stesso identico problema).
Tale decisione innescherà un dibattito interno nella CNT. Il presidente del sindacato sosterrà che gli operai recalcitranti "pensavano solo al proprio stomaco"; mentre un altro militante di rilievo si dimetterà, asserendo che non si sarebbe dovuto aumentare il monte ore e che gli operai si sacrificavano già abbastanza, mentre c'erano dei privilegiati che prendevano migliaia di pesetas al mese.
Insomma, come avevano fatto prima i capitalisti, i sindacati legavano la paga al rendimento, e così il cottimo venne ripristinato in molte imprese, a partire dal 1937. Fu nell'agosto del 1937 che il Consiglio tecnico-amministrativo della CNT del settore delle Costruzioni si ritrovò davanti al seguente dilemma: o restaurare la disciplina sul posto di lavoro e abolire il salario unico, o andare verso il disastro. Si raccomandava pertanto che venissero assunti solo i lavoratori produttivi. "Le masse devono essere rieducate moralmente", ed il loro lavoro dev'essere remunerato secondo i loro sforzi e secondo la qualità del lavoro stesso. In caso contrario, gli operai scarsamente produttivi verranno penalizzati o, addirittura esclusi dalla produzione.
Nell'autunno del 1936, all'inflazione e alla penuria dovuta alla guerra, si sommano le manovre del PSUC che spinge i lavoratori a reclamare aumenti salariali. Sempre il PSUC costituirà il GEPCI, un gruppo di pressione formato da commercianti che domandano il ritorno del libero mercato. Il GEPCI viene accusato di rendersi responsabile dell'inflazione, speculando sui prodotti immagazzinati. Intanto, il 20 dicembre del 1936, dopo essere stato nominato ministro dell'approvvigionamento, Juan Comorera del PSUC, pronuncia un discorso in cui attacca il POUM, accusandolo di attività controrivoluzionaria. Attacca "i gruppi parassiti della rivoluzione", riferendosi ai gruppi di incontrollati che non hanno alcuna intenzione di restituire le armi. In materia economica, afferma che la Catalogna avrebbe dilapidato in pochi mesi "la ricchezza accumulata dalle generazioni precedenti", sostenendo che adesso "la festa è finita". I responsabili della penuria sarebbero i numerosi comitati di ogni tipo, "i quali non permettono la libera circolazione della merce. (...) Fantasiosi comitati di difesa che difendono solo i loro privilegi, creati nei primi momenti di questa rivoluzione, di questa guerra. (...) che hanno costituito un piccolo magazzino di vettovagliamento mentre le donne proletarie di Barcellona sono obbligate a fare la coda (...). Ecco perché mancano i prodotti per la sussistenza a Barcellona. (...) Perché c'è una grande differenza di prezzo fra quello che viene pagato ai contadini e quello che regola i consumi, e la differenza va interamente nelle tasche di questi comitati."
Questo discorso andrà a fissarsi sui cartelli visibili durante le manifestazioni delle donne, fra la fine del 1936 e l'inizio del 1937. "Più pane e meno comitati!"; "Governi un governo: quello della Generalitat!". Il 14 aprile 1937, una manifestazione di donne attraversa i mercati di Collblanc, Sants e Hostafrancs, protestando contro il prezzo del pane e dei prodotti alimentari. I panifici verranno presi d'assalto.
Il problema, per Comorera ed il PSUC, è il sindacato dell'alimentazione della CNT, le cui risorse in magazzini e cantine di quartiere, gestite dai comitati rivoluzionari, sfamano i disoccupati e le loro famiglie e rivaleggiano, di fatto, con i venditori al dettaglio che seguono la legge della domanda e dell'offerta e che si riforniscono al mercato nero. La politica del PSUC è quella di escludere, da una parte, il POUM dal Fronte Popolare, mentre, dall'altra, blandisce momentaneamente gli anarcosindacalisti, separando le istanze superiori della CNT-FAI da quella che è la sua base popolare.
Nel dicembre 1936, gli operai del gas e dell'elettricità richiedono un'assemblea per poter discutere della concessione di una tredicesima. Vengono trattati da contro-rivoluzionari e da fascisti dal comitato di controllo CNT-UGT, che svolge la sua funzione di "dirigere e canalizzare le aspirazioni delle masse". Alla fine l'elargizione della tredicesima viene accettata, mentre si tira un sospiro di sollievo per il fatto che non siano state poste altre questioni assai più imbarazzanti, a proposito di differenze salariali con i tecnici. La "militarizzazione" interessa anche le condizioni lavorative: nel marzo 1937, si stabilisce che tutti i cittadini fra i 18 e i 45 anni dovranno essere in possesso di un "certificato di lavoro". I trasgressori che verranno beccati in qualche luogo di divertimento saranno assegnati ai lavori di fortificazione, o andranno in prigione!
Fino alla fine del 1938, le denunce di indisciplina, assenteismo, ritardi, false malattie, auto-mutilazioni, ostruzionismo, furto e sabotaggio, continueranno a fioccare nelle sedi sindacali. Questo fenomeno interessava anche quelle imprese dove, a causa della mancanza di materie prime, la settimana lavorativa era stata ridotta a 24 ore. In questa situazione ci furono anche casi in cui gli operai incrociarono le braccia, ma gli scioperi furono assai poco comuni, considerato che su di essi pesava, dissuasiva, la minaccia della prigione e dei campi di lavoro ( Garcia Oliver e la CNT-FAI erano assai fieri della realizzazione dei loro Campi di Lavoro (detti anche Campi di Concentramento), che ritenevano essere più progressisti di quelli sovietici; sostenendo che dovevano servire a riabilitare i nemici del popolo ed i delinquenti).
Poco a poco, tutti questi comportamenti, ivi compreso anche il parlare o mangiare durante le ore di lavoro, l'ubriachezza, l'immoralità, il lamentarsi, il distrarre gli altri, ecc. vennero assimilati al sabotaggio, ed i colpevoli sanzionati o licenziati.
Sembra quasi esserci un rapporto diretto fra la radicalità operaia e il disinteresse per l'autogestione, quanto meno per quell'autogestione che venne avviata a Barcellona. In ogni caso, più lo Stato si rinforzava, più la demoralizzazione rendeva i lavoratori indifferenti al loro lavoro, e più misure repressive venivano attuate contro di loro.
Sarà nelle giornate dal 3 al 7 maggio 1937 che la lotta fra rivoluzione e controrivoluzione tornerà ad essere aperta, nella strada, e sarà la strada a riprendersi i suoi propri diritti. Senza CNT, senza parole d'ordine, in tutti i quartieri vengono erette barricate, ad ogni barricata operai armati. Sono i membri dei Comitati di difesa, in primo luogo, insieme a qualcuno delle pattuglie di controllo, cui si uniscono i gruppi di affinità della FAI e gli appena costituiti "Amici di Durruti", ma anche miliziani, venuti dal fronte o in permesso, e militanti del POUM. "Tornate al lavoro", è il grido che si alza unanime dalla dirigenza, dalla CNT alla FAI al POUM. "Tornate al lavoro", è la vittoria della contro-rivoluzione sotto molti aspetti, fra cui quello che sancisce la fine dell'osmosi fra la CNT e i quartieri popolari.
I Comitati di Difesa non si daranno per vinti, e in una circolare interna del 27 maggio 1937, dopo aver fatto un bilancio degli errori nel corso delle giornate di maggio, propongono di organizzare delle "compagnie formate ciascuna da cinquanta militanti armati" in vista di un "progetto di organizzazione cospirativa", e di passare alla clandestinità. Ma da giugno a settembre del 1937 la repressione si scatenerà contro di loro, e riuscirà a neutralizzarli. Sopravvivrà solo un foglio clandestino, centrato sul problema del sostegno ai prigionieri antifascisti.
Intanto, a Barcellona, il problema della penuria persisteva. I giovani dei quartieri poveri compivano saccheggi nelle campagne, i rifugiati dal fronte si organizzavano in bande e rubavano per rivendere al mercato nero. Ventiduemila sfollati, spesso senza impiego, vivevano con difficoltà nella città, e la cosa provocava tensioni con gli "autoctoni". Nei barrios si tornava a dire che "rubare ai ricchi per mangiare non è la stessa cosa di sfruttare al fine di condurre una vita nel lusso", ed i militanti anarchici ripresero a fare le rapine. Un bollettino della CNT riporta la fucilazione di tre rapinatori del quartiere di Can Tunis, giustiziati nel dicembre 1938 per aver attaccato la cassa del sindacato del legno nel quartiere di Pueblo Seco, ed avere ucciso due militanti. Dei tre, due erano membri del Comitato di Guerra della Colonna Durruti.
"Tutta questa rivoluzione contro l'economia deve finire!" - così si rivolse, nel luglio 1938, il direttore di un'impresa di confezioni, ai suoi operai che protestavano contro il licenziamento di tre di loro "che producevano poco e male".
Un proletariato combattivo e determinato, avverso al lavoro e per niente disposto a seguire la "vocazione ad essere proletariato", si ritrovò fra i due fuochi dell'approccio militante e dell'approccio morale, che consideravano gli operai refrattari barcellonesi come una spina nel fianco o come degli individualisti senza coscienza sociale, incapaci di impegnarsi in una lotta collettiva. Il loro comportamento, definito "sconsiderato e pericoloso", verrà assunto come un sabotaggio dell'esperienza rivoluzionaria. Alcuni argomenteranno che l'apparato della CNT, riducendo il programma rivoluzionario, abbia provocato la comprensibile disaffezione di una parte del proletariato, tanto al fronte quanto sul lavoro. Ma non vedranno in questo altro che una "rivolta muta" contro la burocrazia sindacale. Sostenendo quanti hanno criticato attivamente la CNT-FAI sul piano politico e dottrinale, ma che si sono sacrificati per responsabilità militante - come i miliziani della Colonna di Ferro - o che addirittura rilanciavano con appelli alla disciplina - come "gli Amici di Durruti" che chiedevano "più lavoro, più sacrifici, la fine degli aumenti salariali, e perfino il lavoro obbligatorio" mentre deploravano la "mancanza di moralità nelle retrovie".
Ma nessuno commenterà il discorso industrialista degli anarcosindacalisti degli anni trenta, né l'effetto che questo avrà sul progetto di emancipazione libertaria che si andrà a sperimentare. Sapendo che "il nuovo comportamento tipo dell'operaio industriale dell'epoca è quello di fare il meno possibile", come sorprendersi se un progetto di emancipazione libertaria, oramai associato alla sottomissione volontaria ai tempi e ai luoghi del lavoro, non funzionasse? Non si tratta di attribuire un "bel ruolo" alla base in rapporto ai suoi dirigenti, anche se la CNT è finita per diventare un sindacato come gli altri (Nel febbraio 1937, il sindacato dei tessili di Badalona chiama i lavoratori ad imitare lo stakanovismo, ammirando apertamente il modello sovietico "che aveva solidificato la base economica della rivoluzione"; mentre altri parlavano di fare del lavoro "uno sport, una nobile competizione", cosicché i volenterosi potessero ricevere il titolo di "lavoratore che si è distinto nella produzione". La rivista "Horizonte" della collettività Marathon sosteneva che l'Unione Sovietica era "la guida e l'esempio da seguire per tutto il mondo").
Oggi, l'interesse è quello di riuscire a capire come il movimento operaio si sia gettato, di buon grado o "obtorto collo", dentro l'utopia capitalista.
"Quando i militanti hanno identificato la coscienza di classe con il controllo e con lo sviluppo delle forze produttive, la coscienza di classe della maggior parte dei lavoratori si è manifestata nella fuga dagli spazi e dai tempi di lavoro, così come succedeva prima della rivoluzione."
Tale coscienza degli operai - spesso diffusa e indistinta - risale all'inizio del capitalismo e si basa sul fatto che il lavoro è la materia vitale del modo di produzione capitalista, i lavoratori non hanno niente da guadagnare, o da difendere, a partire dal lavoro. Ma i sindacati e i partiti della sinistra rivoluzionaria hanno continuato a fare questa strana proposta di ricostruire il mondo intorno ad un centro, rispetto al quale i suoi occupanti non fanno altro che cercare di fuggire. Nel 1936, come al giorno d'oggi, non esiste che un'utopia: quella del capitale!
Contro quest'utopia, nessuno dovrà più cercare di appropriarsi degli elementi del dominio capitalista, per riprendere la produzione per suo proprio conto. Solo così si potrà avere la possibilità di un mondo dove i rapporti fra gli individui non si basano sul lavoro.