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Contro la Sindrome di Capalbio (5), da Gabriele D’Annunzio traduttore all’attesa all’estero per Italia – Costa Rica.

Creato il 21 giugno 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Dannunziodi Rina Brundu. Fu diversi mondiali fa (non mi ricordo esattamente quando), che un gruppo di scrittori italiani (non mi ricordo esattamente quali), decise di averne avuto abbastanza dell’italietta provinciale con la testa nel pallone e pensò bene di ritirarsi a cogitare tra le verdi colline della ridente cittadina di Capalbio, in quel di Toscana, a goderne il clima mite, il fascino rinascimentale, l’indiscutibile pace interiore che simili giardini edenici riescono senz’altro a procurare.

Come non capirli. Fu lo stesso Gabriele D’Annunzio a tradurre l’iscrizione sulla lapide (lapide datata 1418) di Porta Senese, ovvero della storica porta d’accesso attraverso le mura di Capalbio:

«Sono Capalbio felice,
difeso dal leone senese dal quale sono protetto,
e da queste prime mura restaurate a proprie spese
e dalla altre mura che circondano le prime,
correndo gli anni millequattrocentoquattro
oltre i quali il mondo aveva girato dieci anni e più volte due.»

Li capisco ma non li comprendo, la distinzione ci sta tutta. Non mi riesce di comprendere infatti come uno scrittore moderno possa girare la testa, guardare dall’altra parte, mentre l’universo che vorrebbe raccontare, quello degli uomini, vive i suoi riti più trascinanti, superficiali quanto si vuole, ma non per questo meno importanti. Marianne Moore (1887 – 1972), la grande poetessa americana amante del baseball la pensava diversamente. E non solo lei. Mi resta anche la curiosità di sapere che cosa abbia prodotto quel “ritiro” in termini creativi, quali gifts intellettuali siano stati regalati all’ignava umanità in quei giorni, ma evito di investigare perché ho il sospetto che sarebbe un poco come sparare sulla Croce Rossa.

C’era eccitazione, tensione, gioia, aspettativa ieri pomeriggio tra le fila della comunità italiana irlandese prima della partita Italia – Costa Rica. C’era dimenticanza, finanche oblìo di ogni momento poco edificante che ha caratterizzato gli ultimi anni della vita socio-politica della madrepatria. C’era una ritrovata unità di facciata che era a suo modo rivelante di radici mai ripudiate. Diceva Marx che la religione è l’oppio dei popoli. A mio avviso lo è anche il miglior calcio con la differenza che il calcio, con le sue iperbole esagerate, il suo destino nazional popolare, la sua dignità contadina, necessariamente plebea, ha fatto e fa ancora oggi molti meno danni.

Featured image, Gabriele D’Annunzio, il Vate.


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