La scuola oggi vanta un numero incredibilmente esiguo di estimatori. Così esiguo che viene da chiedersi se tale impopolarità sia realmente da ascriversi alla indolenza degli scolari e alla impreparazione dei docenti (come asserisce una parte della opinione pubblica), o se piuttosto il problema discenda da altri fattori...
Quelle che seguono sono alcune ipotesi personali sul perché la gran parte delle persone tenda ad associare il ricordo della fine dell'excursus scolastico ad una sorta di liberazione. Alcuni dati da cui partire: 1 - la maggior parte dei cittadini tende a omologarsi allo stile di vita e alla espressività della massa; 2 - la maggior parte dei cittadini reputa competitività ed utilitarismo come due assiomi connaturati alla normale vita di società; 3 - la maggior parte dei cittadini reputa "normale" che in un sistema democratico alcuni personaggi siano 'più uguali degli altri', ed altrettanto normale sottomettersi a chiunque si fregi di una qualsiasi carica, a prescindere dalla effettiva rispettabilità dell'individuo che ne è titolare; 4 - la maggior parte dei cittadini non legge per il semplice piacere di farlo, ed in generale tende a rifiutare il concetto di 'apprendimento fine a se stesso'; 5 - l'oggetto libro è sempre più associato alla idea di neutro contenitore di nozioni da riversare acriticamente nella memoria al fine di ottenere un traguardo utilitaristico. Si va dalla promozione negli anni scolastici e universitari, al conseguimento di diplomi e specializzazioni nel periodo post-accademico, al mero sfoggio nozionistico nelle conversazioni salottiere.
Ebbene, ognuna delle situazioni sopra elencate può essere ricondotta ad una unica matrice: il sistema-scuola. Il sistema scolastico contemporaneo può essere fatto risalire ai principi enunciati dai filosofi John Locke, Jean Rosseau e - più recentemente - Johan Fitche, che nel suo Discorso al popolo tedesco (molto apprezzato da Mussolini e Gentile) - sottolinea la necessità che tutti i bambini siano presi in consegna dallo Stato, così che il loro modo di pensare possa essere pesantemente influenzato dagli indottrinamenti scolastici. La prossima volta che sentirete parlare di scuola dell'obbligo, chiedetevi se tale obbligatorietà sia dovuta alla natura filantropica dello Stato, al quale starebbe a cuore il fatto che i propri cittadini siano tutti almeno un pò istruiti, oppure alla necessità di prendere in consegna le menti giovani per prepararle ad accettare come normali le storture del sistema entro cui si troveranno a vivere. La cosiddetta 'alfabetizzazione' fu un processo finalizzato al bene della collettività, o piuttosto si trattò di una strategia volta ad assicurare al potere maggiore controllo sui sudditi 'consumatori' attraverso la cosiddetta 'comunicazione'?
Qualche riflessione...
Gli anni in cui più siamo obbligati a piegarci ad un ferreo regime di schematizzazioni sono gli stessi in cui la nostra mente è più fertile, creativa, disposta all'accoglimento di ogni sorta di idea e concetto. In quegli anni ognuno di noi è portato a interessarsi alla vita con curiosità e passione, assecondando le proprie naturali attitudini. Tuttavia il sistema-scuola tende a sterilizzare questa naturale fertilità, obbligando la mente giovane ad occuparsi solo di un determinato numero di argomenti, per lo più inadatti alla stimolazione di un individuo di tenera età (è un pò come pretendere che qualcuno raggiunga la cima di una scala senza toccare i primi pioli), ed insegnate con metodi impositivi, repressivi e punitivi. Mediante interrogazioni ed esami lo scolaro impara ad associare il concetto di apprendimento ad una serie di sensazioni ansiogene che di certo non faciliteranno il suo futuro approccio alla cultura e alla conoscenza. Mediante i libri di testo apprende che sia più importante imparare a memoria la opinione di un accademico - voce del sistema - piuttosto che esprimere la propria, generalmente ridicolizzata e disprezzata. Mediante promozioni e bocciature impara che la unica valida ragione per alimentare la propria cultura sia il raggiungimento di un fine utilitaristico e monetizzabile. Mediante voti, giudizi e classificazioni impara ad accettare il clima di costante competizione che caratterizzerà la sua esistenza post-scolastica. Mediante la figura dell'insegnante impara i concetti di autorità e subordinazione, così che quando da adulto si troverà al cospetto di una forma di 'autorità costituita', sarà istintivamente e acriticamente indotto a sottomettersi ad essa. Mediante un metodo di studio fatto di infinite ripetizioni, rigidi orari e schematizzazioni di ogni genere impara che fondamentale requisito per ottenere un avanzamento sociale - al di là del rendimento nelle materie di studio - sia quello di uniformarsi allo stile di vita collettivo.
Per chiudere il discorso è necessario citare la norma che delega al Ministero della Pubblica Istruzione la scelta dei programmi di studio e libri di testo (precisi indirizzi ai quali ogni insegnante è obbligato a uniformarsi, pena il licenziamento) attraverso i quali, come non è difficile intuire, la formazione culturale dello scolaro subisce filtri e deformazioni derivanti dalla politica. Probabilmente non esistono in società settori più arretrati e dannosi della istruzione. Così come è congegnato, il sistema scuola rappresenta un vero e proprio attentato alla facoltà di autodeterminazione degli individui. La principale finalità della scuola - specie nel mondo occidentale del Ventunesimo secolo - dovrebbe essere quella di alimentare nello studente la sete di conoscenza, sollecitando la sua naturale tendenza a porre in correlazione gli elementi appresi, in modo tale che da nozioni isolate si trasformino in 'cultura.' L'individuo non avrebbe alcun bisogno di essere quotidianamente 'imboccato'; le uniche materie scolastiche degne di essere insegnate - con i mezzi attuali - sono: 'passione per la conoscenza' e 'strumenti di accesso alla conoscenza.' Tutto qui. La cosa tuttavia costituirebbe un pericolo per chi comanda, dal momento che - come Hegel insegna - è necessario che la società sia composta da individui/strumenti. Persone competenti in una unica materia, ed incompetenti in qualsiasi altra. Oggi le persone che fanno della loro singola competenza una ragione di vita sono certificate come 'sistemiche doc' con il conferimento della laurea, ed autorizzate ad insegnare al loro prossimo, diffondendo ottusamente il verbo sistemico, che in tal modo può rinnovarsi automaticamente ad infinitum. Buffo notare come da qualche decennio si usi descrivere le persone e le loro attività attraverso aggettivi un tempo associati a strumenti e oggetti. Efficiente; operativo; flessibile; risorsa umana; produttivo; essere scarichi; staccare la spina, ecc. La mente umana è come una macchina che una volta accesa si autoalimenta e non smette più di funzionare. Compito delle istituzioni scolastiche dovrebbe essere quello di supportare lo scolaro nella accensione del proprio cervello-macchina. L'attuale sistema-scuola invece sembra essere strutturato per ottenere l'effetto opposto, cioè suscitare repulsione verso la conoscenza. Ci insegna ad incamerare acriticamente un certo numero di opinioni e resoconti, con il solo fine di ricavarne un traguardo utilitaristico. In sostanza ci somministra la nostra prima razione di omologazione, servilismo e competitività. Tutto ciò dopo che i nostri genitori hanno involontariamente inaugurato il nostro lavaggio del cervello riempiendoci la testa con decine di proverbi popolari e fiabe classiche. E pensare che c'è chi sostiene che a scuola si studi poca educazione civica. La intera esperienza scolastica costituisce in realtà una unica, lunga, subliminale lezione di 'educazione civica.' Non per niente la parola "formazione" è sempre più spesso utilizzata per indicare il percorso didattico. Un termine che presuppone la esistenza di un modello a cui ogni bravo scolaro è tenuto ad aspirare e uniformarsi. Qualsiasi studente ha subito questa sorta di stupro mentale. Si è trattato della prima diretta ingerenza sistemica nella sua sfera individuale, eppure nemmeno se ne è reso conto, per lo meno non a livello cosciente. Tornando all'interrogativo iniziale, ho idea che molti individui tendano a ricordare la fine della scuola come una sorta di 'liberazione' per il motivo più elementare; perché in sostanza lo è stata, una liberazione. Liberazione da una morsa di paura, grigiore, ripetitività, incomunicabilità, che ha soffocato (spesso uccidendole) le sue pulsioni più genuine, sane ed umane. Peccato che tale libertà duri appena il tempo di una estate, dopo la quale ogni scolaro si trasforma in disoccupato, lavoratore o studente universitario. L'excursus scolastico ha tramutato la sua macchina-cervello da portentosa unità autosufficiente in un grigio pallottoliere autolimitante. Ecco che ha inizio il soggiorno nel sistema-vita; quello dove la gente a volte si suicida; la cosiddetta 'società civile' a cui la scuola, durante gli anni della nostra prima giovinezza, ci ha scrupolosamente preparati.
"Non è questione di imparare la geografia o la geometria, ma di abituarsi al lavoro, perciò alla noia." (F.Galiani)
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"La mente non ha bisogno, come un vaso, di essere riempita, ma piuttosto, come legna, di una scintilla che l'accenda e vi infonda l'impulso della ricerca ed un amore ardente per la verità." (Plutarco)
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"Nulla è più utile di quegli studi che non hanno alcuna utilità." (Ovidio)
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"Non abbiamo bisogno di educazione
Non abbiamo bisogno di essere tenuti sotto controllo
nè di oscuro sarcasmo in aula.
professori, lasciate in pace i ragazzi.
Tutto sommato non è che un altro mattone nel muro."
(Pink Floyd - Another Brick in The Wall)
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Fonte: www.anticorpi.info