Come mi è capitato dire allo scoppio dello scandalo Volkswagen, qualche traccia di verità e di realtà si ha ormai solo quando una guerra tra potentati o gli interessi delle oligarchie, spingono a strappare qualche angolo del sipario: così solo grazie alla guerra che le case americane hanno deciso di fare a quelle europee che attraggono i clienti più sicuri e solventi, abbiamo appreso che i limiti di emissione per le auto sono poco più di una barzelletta per spingere all’acquisto di nuovi modelli.
In questi giorni poi gli stessi media e think tank che da due anni fanno gli aedi della ripresa americana e la pongono come faro che brilla grazie al falò dei diritti nella notte della crisi, hanno cambiato registro e mostrano come in realtà tutto questo nasca da dati fasulli, manipolati ad hoc o semplicemente fatti brillare senza alcune spiegazione come il brillocco scambiato per diamante. Naturalmente ci si riferisce agli ultimi numeri, non si fa un discorso globale pericoloso, ma ristretto al presente e al passato prossimo, tuttavia la valanga di osservazioni negative è tale che anche il Sole 24 ore è costretto a mettere in rilievo come i dati sull’aumento dell’occupazione a settembre siano ingannevoli: “Aggiungendo la beffa all’inganno, la settimana lavorativa si è accorciata in settembre a 34,5 ore dalle 34,6 ore di agosto, uno sviluppo che equivale di fatto a una perdita di 348.000 posti di lavoro.Vale a dire che l’economia americana non ha affatto sostenuto la creazione di lavoro, piuttosto ne ha decretato una contrazione significativa: dell’ordine netto di 265.000 impieghi, una volta sommate le revisioni al ribasso di circa 60.000 posti relative ai due mesi precedenti.” Altro che 142 mila nuovi posti (cifra che come fa giustamente notare Contropiano è comunque inferiore al turn over naturale). Certo non si dice chiaramente che queste cifre non tengono conto della massa ormai enorme di persone che non si rivolge più agli sportelli della disoccupazione e che le cifre sono dunque alterate alla radice, non si rivela che il dato dei disoccupati veri sfiora ormai i cento milioni e infine che i nuovi lavori quando ci sono comunque molto più modesti e meno remunerati di quelli persi con la crisi.
Né certamente si fa notare come i dati del Pil Usa -notoriamente manipolati anche a detta degli specialisti consapevoli di restituire immagini numeriche funzionali al pensiero unico – siano in totale contrasto con la quasi totalità delle altre statistiche economiche. Però si ammette che le cifre ballano coi lupi. Come mai questo improvviso cambiamento di registro? Semplice la Federal reserve ha annunciato un aumento dei tassi per la fine dell’anno, ed ecco che l’economia americana da muscolare e ormai libera dalla crisi si rivela invece fragile e sostanzialmente incapace di riprendersi realmente se non facendo ricorso agli strumenti precedenti, ovvero ai prestiti opachi o inesigibili per la casa, per l’auto, persino per lo smartphone.
Il messaggio è chiaro: in queste condizioni non si può procedere a un aumento dei tassi, sarebbe come dare credito alle bugie che governo e potentati fabbricano. E’ lo stesso avvertimento che è stato dato a fine agosto quando appunto la banca centrale statunitense aveva dichiarato la fine dei quantitive esasing e del denaro a costo zero. Ma ora sarebbe troppo rischioso dare un nuovo scossone al castello di carte borsistico, così semplicemente si rivela all’inclito e al colto che la ripresa è una ripresa in giro. Salvo tornare al turibolo non appena ci sarà lo scampato pericolo dal rialzo dei tassi e il sipario potrà essere ricucito per non far vedere la macchina che fabbrica le verità a prendi tre e paghi due.