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Conversazione con Don DeLillo a Capri

Creato il 15 luglio 2014 da Tiziana Zita @Cletterarie

998-White_Noise_2_by_Falln_Stock“Abbiamo fatto un accordo con Mr.DeLillo che stasera non saranno fatte foto o filmati. La telecamera che normalmente riprende ‘Le conversazioni’ sarà puntata esclusivamente su Antonio Monda che lo intervista. Siete tutti pregati di collaborare evitando foto e filmati. E per favore spegnete i cellulari”.

L’annuncio viene ripetuto al microfono in italiano e inglese. Siamo a Capri e la piazzetta di Tragara, dove si svolgono Le conversazioni, è affollatissima per l’occasione. Poi arriva Don DeLillo, 78 anni, berretto da baseball in testa, camicia a quadretti.
Il tema è sempre “corruzione e purezza” (vedi l’articolo di

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) e Don De Lillo ha scritto su Deserto Rosso. Antonio Monda comincia dicendo che lui non ha amato il film di Antonioni come DeLillo, anche se sul piano delle immagini è uno dei più belli.

Monda
Il film è debole quando i personaggi parlano e ci sono delle frasi secondo me, imperdonabili, del tipo ‘Mi fanno male i capelli’. Volevo sapere se è d’accordo.

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Monica Vitti in Deserto Rosso di Antonioni

DeLillo
Io porto questo berretto perché mi fanno male i capelli (risata generale). Credo che il fatto che il film sia bellissimo dal punto di vista delle immagini sia di per sé sufficiente. Il dialogo non lo ritengo importante, a maggior ragione perché non capisco l’italiano e leggerei i sottotitoli. Non capire la lingua mi permette di immergermi completamente nella bellezza delle immagini. Questa è anche la cifra stilistica di altri registi come Sokurov, Terrence Malick, Bertolucci del Conformista, o come la trilogia in bianco e nero di Antonioni. Io credo che non sia così importante la costruzione del racconto, la trama, la caratterizzazione dei personaggi, rispetto al piano visivo.

Monda
Malick è uno dei registi che prediligo e uno dei più grandi sul piano dell’immagine. Ritieni che il cinema puro sia costruito esclusivamente attraverso le immagini?

DeLillo
Credo che il dialogo nel cinema abbia meno importanza rispetto alle immagini. Il dialogo tende ad essere quasi una routine e non riesce a emozionarci quanto le immagini che possono affascinarci e al tempo stesso creare in noi un senso di repulsione. Il dialogo è il motore che fa avanzare la storia, ma sono le immagini ad attirarci in una sala cinematografica.

Donna Tartt a Le conversazioni.
Donna Tartt, premio Pulitzer nel 2014, alla ‘conversazione’ con DeLillo

Monda
Cos’hai imparato dal cinema, o da qualche film in particolare?

DeLillo
Credo che la mia scrittura abbia sempre avuto un elemento visivo molto forte. Mi considero uno scrittore tridimensionale nel senso che ho bisogno di vedere quello che scrivo. Rileggo le mie frasi e osservo come sono disposte le parole. E’ come se amassi dipingere le mie pagine nello stesso modo in cui capita a dei pittori di dipingere delle parole sulle loro tele. Il cinema americano è stato in grado di produrre le sue immagini più belle quando sono associate alla violenza. Pensiamo ad esempio al capolavoro di Sam Peckinpah, Il mucchio selvaggio, che ci dà delle immagini di un’estrema violenza. E’ come se ci fosse un legame indissolubile tra la violenza e la bellezza. Uscendo dall’ambito cinematografico, pensiamo anche alla bellezza delle immagini della bomba atomica. Sto parlando dei test della bomba atomica, non certo dei bombardamenti sulle città come Hiroshima e Nagasaki. Vi ricordate le immagini dei test nucleari nel Pacifico del sud o in Siberia? C’è una bellezza in quelle immagini dell’esplosione del tutto isolata e avulsa dalla forza distruttiva di queste armi in grado di uccidere centinaia di migliaia di persone.

Monda
So che tu sei stato educato dai gesuiti. Che cosa ti ha lasciato questa educazione, come uomo e come scrittore?

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The Tree of Life di Terrence Malick

DeLillo
Ho frequentato un collegio di gesuiti per quattro anni. I primi due sono stato molto attento, gli altri due mi sono distratto. Mi sono allontanato, ma non dalla religione, quello è avvenuto dopo. I gesuiti mi hanno insegnato molte cose, in particolare ricordo un sacerdote che insegnava filosofia e teologia che consigliò un libro che io lessi immediatamente e che poi utilizzai in uno dei miei romanzi. Era il libro di un gesuita francese rinnegato, Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano. Poi l’ho utilizzato in Punto omega.

Monda
Ritieni che gli esseri umani nascono puri e sono condannati a corrompersi, o viceversa sono corrotti dalla nascita e devono purificarsi?

DeLillo
Nessuno dei due. Ognuno di noi alla nascita si trova in determinate circostanze che dipendono dai genitori. Nei primi anni di vita l’ambiente in cui viviamo forgia la nostra identità.

Monda
Puoi fare l’esempio di un grande scrittore a cui attribuisci una purezza di linguaggio e un altro grande scrittore che invece non ti sembra puro?

Donna Tartt a Le conversazioni..
DeLillo
Cito uno scrittore che è entrambe le cose che è James Joyce. Trovo che la prima parte dell’Ulisse sia scritta in un modo meraviglioso e ricordo ancora quando scoprii questo testo – ero da solo in una stanza – e rimasi assolutamente sopraffatto. Leggendo i primi tre capitoli scoprii una lingua che non avevo mai incontrato prima di allora. Mi resi conto che l’inglese britannico era una lingua bellissima e meravigliosa. Anche l’inglese degli scrittori americani può essere una lingua meravigliosa come poi ho scoperto in grandi autori come Hemingway, Faulkner e Steinbeck. Addirittura al primo anno d’università, c’era un amico che si aggirava nel campus parlando come Hemingway, non nel senso che ripeteva i suoi dialoghi, ma parlava delle cose di tutti i giorni con lo stesso ritmo e con lo stesso formato in cui erano scritti i dialoghi di Hemingway.

Monda
Ti è mai capitato di imbatterti in artisti che firmano qualcosa di moralmente repellente eppure continui ad ammirarli come artisti?

DeLillo
Leni Riefenstahl secondo me è stata una regista che dal punto di vista tecnico era assolutamente compiuta, ma ha subito fortemente l’influenza di Hitler. In particolare nel Trionfo della volontà, le immagini sono meravigliose ma i concetti espressi sono corrotti.

E’ tempo di dare la parola al pubblico. Monda chiede se ci sono domande e alza subito la mano Francesco Durante, giornalista, traduttore, critico letterario.

Francesco Durante
Io vorrei chiederle quanto ha contato la sua italo-americanità nella sua carriera di scrittore, se è stata un peso o un’opportunità e poi anche se conosce un giovane scrittore italoamericano che si chiama Salvatore Scibona, autore del bellissimo romanzo: La fine.

DeLillo
Conosco Scibona, l’ho letto e mi piace. E’ vero che sono cresciuto nel Bronx italiano e lì ho ambientato i miei primi racconti finché mi sono reso conto che stavo compiendo lo stesso viaggio che hanno fatto i miei genitori venendo dall’Italia negli Stati Uniti. Ma io non volevo diventare uno scrittore italoamericano, volevo diventare uno scrittore americano. Questo è nella natura degli Stati Uniti, capire dove sei e chi sei. Io non volevo essere solo un ramo di quell’albero. Forse è questo il motivo per cui ho intitolato Americana il mio primo romanzo. Però ho provato un immenso piacere nello scrivere le pagine che descrivono il Bronx italiano in Underworld. Era passato così tanto tempo che potevo vederlo più chiaramente ed ero molto sicuro nello scrivere quei passaggi, mi sentivo come il più grande esperto vivente sul Bronx del 1952.

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Diego De Silva
La mia domanda è sulla secondarietà dei dialoghi rispetto alle immagini. C’è uno scrittore formidabile nei dialoghi, che tra l’altro è morto quest’anno, Elmore Leonard. E’ stato molto adattato dal cinema e nei suoi romanzi la forza delle immagini è assolutamente equivalente a quella dei dialoghi. Le serie americane come Mad Men o True Detective offrono un esempio illuminante di quanto sia importante la scrittura dei dialoghi. La seconda domanda è se ci dice almeno un romanzo italiano importante per lei.

DeLillo
Alla seconda domanda rispondo: tutto quello che è stato scritto da Cesare Pavese. Elmore Leoanard è stato uno scrittore importante ma se penso ai film che sono tratti dai suoi romanzi, ritengo che siano sempre le immagini a essere importanti perché il linguaggio cinematografico è per immagini. Non guardo le serie tv perciò non so. Sto cercando di pensare a un film in cui i dialoghi…

Monda
Scene da un matrimonio di Bergman, o comunque in quasi in tutti i film di Bergman ci sono bellissimi dialoghi.

DeLillo
Ma io non parlo lo svedese.

Ragazzo del pubblico
Perché non riconosce Amazons, il finto memoir firmato con lo pseudonimo di Cleo Birdwell e, se vuole dircelo, perché decise di scrivere quel libro?

DeLillo
E’ stato un momento in cui sono stato molto incauto. Ero tra la scrittura di due romanzi, ero al verde, ho avuto questa idea e ho deciso di svilupparla. Posso dire solo questo.

Faraglione
La conversazione è finita. Resto a guardare la gente che si è messa in fila per farsi autografare il libro e scambiare due parole con lui. Devo confessare che io una foto a DeLillo gliel’ho fatta, ma è stato per caso, involontariamente, il giorno prima del suo intervento. In realtà stavo fotografando il pubblico e non sapevo ci fosse anche lui, seduto in prima fila. Ovviamente evito di pubblicarla. Ma l’impossibilità di fargli delle foto mentre parlava mi ha fatto riflettere che per un attimo siamo stati liberati dalla nostra ossessione fotografica (c’è un bel racconto di Calvino a questo proposito). DeLillo lo sa bene, visto che in Rumore bianco parla di un’attrazione turistica, nota come “la stalla più fotografata d’America”. La gente armata di macchina fotografica arriva lì davanti, fotografa e se ne va, immediatamente sostituita da altra. Due personaggi osservano il via vai dei visitatori e alla fine uno dei due afferma: “La stalla non la vede nessuno”. In un’epoca in cui i momenti culminanti passiamo più tempo a fotografarli che a viverli, DeLillo – con alle spalle i Faraglioni – ci ha costretti ad ascoltarlo.


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