Nel marzo del 2011 la rivoluzione siriana aveva lo stesso profilo della primavera tunisina ed egiziana. Ma oggi qui si combatte una guerra civile a carattere confessionale, che è diventata una guerra regionale. Il conflitto in Siria è una tragedia. Lo è per la sua popolazione le cui case e vite vengono demolite. Lo è per suoi bambini testimoni di eventi terribili e inenarrabili. Ma è anche una tragedia globale, perchè gran parte del mondo non riesce a decidere come (e se) intervenire.
Intanto, il presidente Bashar Assad continua ad ammazzare il suo popolo.
Qualche giorno fa ho alzato la cornetta del telefono e chiesto al Professor Olivier Roy, considerato uno dei piu’ grandi esperti di geopolitica islamica, che cosa ne pensasse a riguardo.
Assad è forte, ha esordito. “I principali sponsor del suo regime, Iran, Russia ed Hezbollah, sanno cio’ che vogliono: il regime di Damasco non deve cadere e loro sono pronti a combattere per difenderlo”. “Mentre il fronte anti-Assad non è compatto - ha continuato - L’Arabia Saudita (che controlla i proventi del petrolio ed è terrorizzata dal contagio della Primavera araba, ndr) sostiene i salafiti avversari dei Fratelli musulmani, specialmente in Egitto, e fa blocco contro il Qatar. Gli Occidentali sostengono l’opposizione, ma ne combattono una parte, quella delle frange jihadiste. Gli Europei continuano a cambiare posizione. Ognuno di questi paesi ha un’agenda diversa”. Anche la proposta russa del 9 settembre sulle armi chimiche siriane, non garantisce una soluzione del conflitto a breve termine. Oltre a presentare difficoltà tecniche, mostra tutte le abiguità che si temono quando si ha a che fare con le furbizie del regime di Damasco (e del suo abile alleato russo). Secondo Roy, Assad non è interessato a fare concessioni piegandosi ad un vero controllo delle sue armi chimiche: “ In questo momento non ha nulla da perdere e sta capitalizzando sulle divisioni degli Occidentali”. Inoltre, in Occidente l’intervento armato resta fortemente criticato dall’opinione pubblica, che prova ancora risentimento per le bugie raccontate nel 2003 con l’invasione dell’Iraq.
A questo punto, l’unica risposta sensata è quella di accelerare il processo diplomatico. Ma in quale modo? Roy è convinto che “se si attacca la Siria soltanto per punire Assad, allora questo non servirà ad evitare una escalation regionale violenta. Invece, una reazione internazionale deve essere concepita all’interno di una strategia anti-regime a lungo termine”. Questo significa iniziare a “coordinare un intervento che coinvolga l’opposizione siriana, quella bene individuata come lontana dai focolai jihadisti”.
Questo tipo di appoggio è importante per rafforzare le forze democratiche della resistenza ed impedire che vadano in pezzi inoculate dal virus della jihad.
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