Sia chiaro: neanche adesso mi sembra di poter dire che il pasto sia il momento centrale della narrativa di Virginia Woolf, né mi convincono appieno alcune scelte: ma Alla tavola di Virginia Woolf non dà proprio l'idea di essere un libro pretestuoso. Mi pare, anzi, che il gusto dell'autrice sia anche squisitamente letterario, oltre che gastronomico: se anche non riesce a convincermi dell'essenzialità della cucina inglese nel panorama culinario mondiale, Alla tavola di Virginia Woolf è fonte di sorprese insperate, dal porridge all'uso massiccio delle marmellate (in particolare di arance amare e di albicocche). Le ricette sono scritte in modo semplice e chiaro e, anche se ancora non mi sono cimentato, non sembrano troppo difficili neanche per me.Ma l'aspetto più divertente è reicontrare dove meno mi sarei aspettato Orlando, Mrs. Dalloway e compagnia bella. Sia chiaro: ricordavo bene, molto bene, quelle scene, eppure, messe una dopo l'altra fanno un certo effetto (ed è un esperimento interessante leggere i brani in sequenza una prima volta saltando quella ventina di ricette di cui si compone il libro, per poi tornare analiticamente su procedure e gusti. Alla tavola di Virginia Woolf è, ad ogni modo, anche un'occasione per affrontare letture obiettivamente meno comuni: dal raro Flush fino alle lettere e ai diari (molto fortunati di recente), fino agli ancora più rari Tra un atto e l'altro e La famiglia Pargiter o a quei tre deliziosi Ritratti di cui - lo ammetto - non conoscevo neanche l'esistenza. Insomma, direi, a prescindere dal valore del libro (nient'affato scadente), davvero una bella, nuova, incursione nel mondo di un'autrice superba.






