Cooperare

Creato il 19 gennaio 2013 da Gianna

Tratto da "Felici Malgrado" di Enrico Finzi
La felicità è vivibile e vissuta solo personalmente: nessuno può delegarla o, al contrario, sperimentarla per conto di un'altra persona. Ma è spesso sia relazionale, affondando le sue radici nei rapporti con gli altri (a volte pochissimi), sia – più a fondo – sociale. Perché? A parte il nostro, già citato, essere 'animali sociali', dobbiamo considerare i tanti benefici connessi alla cooperazione tra gli umani.
In primo luogo, stare con gli altri è un potente antidoto al veleno dell'infelicità. Senza dubbio, a volte le relazioni interpersonali risultano sgradevoli, ansiogene, persino ammalanti. Ma, in genere, favoriscono la realizzazione esistenziale, se sono davvero libere, profonde, durature e specialmente variegate (cioè con soggetti e ambienti diversi): anche se poche e selettive, 'pantografano' l'io, lo espandono, lo rafforzano.
Il secondo beneficio deriva dal coinvolgimento valoriale, dal condividere non episodicamente passioni, ricordi, progetti, attività: insomma, dallo stare insieme non solo per farsi compagnia ma per produrre o consumare o svolgere un'attività socialmente utile sulla base di una 'filosofia' comune.
Ma non è solo questione di valori e azioni: se si passa dalla collaborazione alla cooperazione in senso stretto (quella di certe famiglie e associazioni oltre che di molte delle vere coop) se ne godono i vantaggi: la proprietà comune, con obiettivi avvertiti come propri; il maggior peso delle istanze etiche; un significativo senso di appartenenza; la protezione dei membri più deboli; il minor divario di potere e di reddito rispetto alle imprese private e pubbliche; il reinvestimento degli utili; la persistenza nel tempo; la tendenza a sfavorire i leaders e gli stili di leadership autoritari.
Ecco, se vogliamo accrescere la soddisfazione esistenziale impariamo a lavorare in squadra e a cooperare con altri (meglio condividendo con essi proprietà, governo, responsabilità): il che richiede regole comuni, tolleranza reciproca, mutue gratificazioni. La sillaba-chiave è 'co': quella che fonda il co-involgimento, la con-divisione, la co-operazione e anche il con-tatto, la com-partecipazione, il con-senso, al fondo la com-unità, l'essere 'noi' che è proprio dell''io', l'identità personale come fascio di relazioni.
Viene da interrogarsi: cosa richiede la vita 'in cordata' con altri? Secondo le ricerche, molte delle seguenti dieci esperienze o virtù:
- l'ascolto degli interlocutori: curioso, empatico, rispettoso, non iper-valutativo;
- il dialogo, basato sull'apertura agli altrui contributi e sul piacere della mutua influenza;
- la citata condivisione di valori, interessi, analisi, programmi, attività;
- la comune motivazione, il reciproco 'rinforzo';
- il vero e proprio gioco di squadra, che funziona se ci sono fiducia, 'ingaggio' e impegno di ciascuno;
- la trasparenza, nelle relazioni interpersonali e nell'organizzazione;
- l'orientamento all'obiettivo, più che l'ottemperamento delle norme;
- la comunanza di dignità, riconosciuta e tutelata;
- la valorizzazione dei talenti;
- la solidarietà, specie nelle difficoltà;
- l'oblatività, ossia lo sforzo generoso e gratuito a favore degli altri per aiutarli e gratificarli.
Troppo? In apparenza sì, se non fosse che tutto ciò – complesso a descriversi se razionalizzato – nella realtà risulta semplice e accessibile: tale lo rendono il DNA che ci orienta alla collaborazione; tante esperienze di successo in ogni epoca; i valori delle principali culture democratiche fondate su libertà, uguaglianza e fraternità (o sororità); gli stessi fallimenti epocali sia dell'autoritarismo (richiedente sudditi o schiavi e non cittadini) sia dell'individualismo (non quello 'buono' che esalta il ruolo e la responsabilità di ognuno ma quello 'cattivo' che contrappone individuo a società, indebolisce le libere comunità anche conflittuali, respinge l'idea-limite – la meta e la bussola – dell'autogoverno collettivo).
La ricerca della gratificazione esistenziale è così anche politica, riguarda la polis e il senso – a un tempo primo e ultimo – del nostro essere 'animali sociali'.


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