Bagnata dal mare su tre lati e con l’unico confine chiuso, di fatto, la Corea del Sud è un’isola. La vita è ritmata dalla frenesia di chi corre in ufficio con lo smartphone perennemente in mano, ma anche dal suono delle campane nei templi e dal canto incessante delle cicale.
È un Paese insolito la Corea. Storia e tradizioni millenarie si fondono a una modernità unica, mentre le numerose invasioni hanno cancellato le tracce delle dinastie imperiali. Certo, ci sono i palazzi, le hanok e i luoghi di culto buddista, ma a ben vedere sono tutti di recente costruzione, a memoria del grandioso tempo che fu.
Si sa poco di questo Paese. I turisti non asiatici difficilmente si allontanano da Seoul e, comunque, di europei nemmeno l’ombra. Fuori dalla capitale nessuno parla inglese, nonostante ciò i coreani dimostrano la propria anima gentile mostrandosi sempre disponibili ad aiutare e a dialogare. Come l’hibiscus in foto, il fiore nazionale, sono delicati nei modi e negli atteggiamenti, quasi a non voler essere di disturbo alcuno.
Prima della partenza mi era stato detto che avrei patito il perenne odore di aglio. Devo però ammettere che si tratta di una leggenda metropolitana. Non si trova in ogni piatto e si può scegliere se mangiarlo o meno (io ho adorato quello alla brace).
Si crede sia una nazione povera e depressa, senza ricordare che la maggior parte degli strumenti elettronici che utilizziamo arrivano proprio da lì.
La Corea del Sud coniuga le tradizioni cinesi (come quella della medicina e del confucianesimo) e il rigore giapponese, che si nota nella precisione che viene messa in ogni cosa e sullo straordinario funzionamento dei mezzi pubblici.
Insomma, Korea To Taste è stato un viaggio sorprendente e vissuto (per un piccolo disguido) muovendosi con bus, treni e…piedi. Perché in Corea tutto va conquistato.