Cristina Rottondi (Politecnico di Torino): «Per minimizzare il ritardo nella comunicazione abbiamo già un software, ma per una sincronia perfetta lavoriamo con il PoliMi e l’università di Stanford a un algoritmo che riesca a prevedere le note»
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Fare musica insieme a 10.000 chilometri di distanza è oggi possibile. Grazie alla capacità della rete e ad applicazioni che riescono a ridurre al minimo il ritardo nella comunicazione. Ma il risultato non è garantito al 100%: alcuni pacchetti di dati che veicolano le note possono non arrivare a destinazione. E per far fronte a questo problema la ricerca si affida al machine learning: addestrare l’algoritmo a «predire» la musica che si sta eseguendo e, quando necessario, a sostituire i dati (le note, i suoni) dispersi. Ce lo spiega Cristina Rottondi del Politecnico di Torino, che nei giorni scorsi ha registrato una cover di Amazing Grace duettando con il professor Christopher Chafe dell’Università di Stanford: voce e violoncello tra Milano e Palo Alto (California). «L’applicazione che abbiamo utilizzato si chiama Jacktrip. È un software sperimentale realizzato dall’Università di Stanford. L’applicazione si sforza di minimizzare il ritardo dovuto sia al tempo di processamento dell’audio sul computer, sia al trasporto dei dati. Ma non ci sono garanzie assolute sulla latenza minima». Un ritardo minimo quindi sarà sempre presente, perché la trasmissione dei dati può essere compromessa dalla congestione della rete.
Un algoritmo per «prevedere» le note
La ricerca per le trasmissioni di dati a bassa latenza riguarda diversi campi di applicazione: controllo dei dispositivi a distanza, smart metering, il trading on line. Per la musica però l’obiettivo è ancora più sfidante. Per garantire una esecuzione musicale sincrona la latenza deve stare al di sotto di poche decine di millisecondi, al massimo 30. In pratica il tempo che un suono impiega per propagarsi su di una distanza di 10 metri. «Per ovviare al problema stiamo studiando lo sviluppo di algoritmi di machine learning che siano in grado di prevedere quello che la controparte eseguirà nella prossima decina di millisecondi. In questo modo se il segnale audio viene a mancare sarà possibile ‘predirlo’. È chiaro che il suono per essere credibile dovrà essere estremamente simile a quello che è stato realmente generato da uno strumento o una voce». State dunque educando la macchina a predire la melodia? «Sì – risponde la Rottondi – a predire delle porzioni di segnali audio. Chiaramente, per addestrare l’algoritmo dobbiamo fornirgli numerosi esempi di segnali audio di un determinato strumento. Ci sarà quindi un algoritmo addestrato per il violoncello, uno per il pianoforte e così via. L’importante è che sia in grado a fare questa ‘previsione’ in tempi estremamente brevi».
Ingegnere e soprano
Al progetto di ricerca lavorano i ricercatori del Center for Computer Research in Music and Acoustics di Stanford, del Dipartimento di Elettronica e telecomunicazioni del Politecnico di Torino e del Dipartimento di Elettronica, telecomunicazioni e bioingegneria del Politecnico di Milano. L’obiettivo è arrivare a sviluppare un’applicazione da utilizzare su larga scala. In futuro anche con i cellulari, sfruttando le capacità del 5G. «Ma servono investimenti in termini economici e di tempo che l’università da sola non può affrontare. E sarebbero i benvenuti proprio in questi giorni in cui dobbiamo affrontare la sfida del lavoro da casa». Cristina Rottondi, 34 anni, ingegnere delle telecomunicazioni, prima di lavorare al Politecnico di Torino è stata tre anni a Lugano, presso un istituto di ricerca che si occupa di intelligenza artificiale. È felice di essere potuta rientrare in Italia e con questa ricerca coniuga le sue competenze professionali con la passione per la musica: «Ho studiato pianoforte dai 4 ai 19 anni. Poi ho cominciato a cantare come soprano in un coro semiprofessionale. La musica è sempre parte importante della mia vita. Conosco molti musicisti professionisti e conosco il tipo di vita che fanno. Siamo abituati a vederli sul palco e non immaginiamo le ore passate in viaggio solo per partecipare alle prove. Oppure gli sforzi per raggiungere gli studenti. Se tutti questi limiti dati dalla logistica potessero essere superati, per loro sarebbe un miglioramento di vita notevole».