Roma, Traffic. Le foto sono di Martina Santoro, che ringraziamo.
Da un po’ di tempo a questa parte per Roma stanno passando diversi nomi storici del metal mondiale, molti dei quali per la prima volta. È il turno dei Coroner, gli indiscussi leader del thrash tecnico, soprattutto in Europa.
Ad aprire le danze troviamo i romani A Taste Of Fear, band nata due anni fa, che propone anch’essa un thrash tecnico, con sprazzi death. Di per sé non sono malvagi, ma risultano un po’ scontati: il loro concerto non esalta né delude, scorrendo abbastanza velocemente senza lasciare grandi tracce. Seguono i Contagio, che si definiscono “undead n’ roll”, ma in realtà fanno un death moderno intriso di metalcore che lascia molto a desiderare, scialbo e poco attinente alle sonorità di questa sera. Difficile arrivare alla fine del set.
Gli unici che per il momento lasciano qualche input positivo sono gli ateniesi Acid Death, presenti in tutte le date del tour italiano dei Coroner. Il loro è un thrash un po’ banalotto, ma alla fine anche abbastanza godibile. Suonano con molta intensità ma non riescono a far dimenticare il fatto che, tra non molto, saliranno sul palco gli headliner della serata. Promossi, anche se con una sufficienza scarsa.
L’attesa per i thrasher elvetici cresce a dismisura. Salgono sul palco con un Traffic insolitamente pieno, quasi fino a scoppiare. Un’affluenza inaspettata che mi rende felice, visto il grande spessore della band in questione, che attacca con “Golden Cashmere Sleeper”. I tre mettono da subito in chiaro le cose: live sono di una precisione inaudita, non sbagliano un colpo, suonando i brani esattamente come sono sul disco. Allo stesso tempo sono anche aggressivi e danno veramente il meglio di loro stessi. Della line up originale ci sono Ron Royce e Tommy T. Baron, mentre dietro le pelli c’è l’italiano Diego Rapacchietti (suonava già assieme a Baron nei 69 Chambers). Mentre in altre occasioni pare abbiano suonato soprattutto materiale da Grin, stasera la scaletta è molto ben bilanciata: pur con diversi estratti da quel disco, qui si pesca soprattutto dal capolavoro Mental Vortex, che viene suonato quasi per intero. Sono però presenti anche degli estratti dai primi lavori, ad esempio “Masked Jackal” e la finale “Reborn Through Hate”, che chiude un concerto veramente perfetto.
Da sempre c’è in giro la diceria che i Coroner non valgano molto live perché ritenuti “troppo tecnici”. Dopo questa sera è sicuro che queste non sono nient’altro che voci: eseguire i loro brani è già molto difficile di per sé e mantenere una tenuta del palco costante come oggi non è da poco. Il prezzo da pagare per i live dei gruppi così tecnicamente avanzati è sempre quello, e loro sono stati veramente eccezionali, tenendo presente una presenza scenica ridotta all’essenziale. Speriamo di rivederli ancora.
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