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Corrado Bagnoli su un libro di Nicola Vacca

Da Narcyso

A riprova della  scelta etica di questo blog, e cioè,  piuttosto che parlare male dei libri con motivazioni a volte deboli, è meglio non non parlarne, questo testo di Corrado Bagnoli sull’ultimo libro di Nicola Vacca è stato proposto, per delicatezza, allo stesso Nicola, che  lo ha letto e approvato.  

S.A.

 

Nicola Vacca
Mattanza dell’incanto
Marco Saya Edizioni, 2013

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Sono stato fino all’ultimo a domandarmi se fosse giusto parlare qui di questo Mattanza dell’incanto del mio amico Nicola Vacca, un po’ sospeso tra poesia e prosa, in certi passaggi forse un po’ precipitoso. Ma mi sbagliavo, è un libro importante, e così faccio quello che dovrebbe fare ogni lettore, come aveva suggerito qualche tempo fa Sebastiano Aglieco proprio qui sul suo blog:
Sempre più mi viene da pensare al gesto di scrivere sui libri come a un atto di presenza: sono qui e ho letto. Basta. Sottolineo parole, anche sporche, per la mia vita. Di che cosa ha bisogno la mia vita? Di sentire che in altri c’è una briciola di me che mi contiene, che mi ospita. Libri, lettori, scrittori: tutti abitano un cerchio che si chiude e non si chiude, che accoglie o che respinge.
Riprendo dunque in mano il libro e riporto le sottolineature, le parole che mi hanno colpito allora e che continuano a intrattenere un rapporto vivo con me, che gravitano sui giorni di questa nostra storia breve e difficile.

Qui
è una grammatica di cattive notizie, a pag 27 Nicola Vacca sceglie di entrare direttamente nella questione, come un terzino d’altri tempi, un po’ a gamba tesa: non c’è un altro modo per dire la decadenza; ma poi non si limita a registrare la situazione, tenta di capirne il perché, le ragioni:

Qui nessuno si chiede

di questo andare esile e agghiacciante.
Il vuoto si sente perché tutti lo seminiamo, dice a pag 28, così che la vita si

si consuma nello spavento dei giorni
che ti parla di fine dappertutto. (pag 29)

Poco più avanti, la poesia L’amore difficile che è un po’ il manifesto del pensiero poetico di Nicola Vacca, recita così:

Si soffoca nel vuoto
che non abbraccia nessuna verità.
Non si avverte il desiderio
di capire il senso del tragico
che sfiora le cose.
E’ imperfetto
dentro questa realtà
lo stare insieme
dell’uno con l’altro.
La perdita è il digiuno dell’anima.
Nemmeno allora si capisce
che l’amore è offrire la mano
per non precipitare.

Cosa rimane da fare, allora, a un poeta e a un uomo che non vuole abdicare al suo mestiere di vivere e soffrire, di scrivere e sperare? Ce lo dice alle pag. 52 e 59
Voglio raccontare con le parole
quello che dentro inquieta.
Perché la poesia in terra
è questo nostro vivere
che accade ogni giorno.
……………………………………
Se alla fine si alzano gli occhi al cielo
è soltanto per desiderare che oltre le nuvole
ci sia una grazia colma di luce.

Mattanza dell’incanto è un viaggio dentro la durezza dei giorni, è uno sguardo, appunto, disincantato sul mondo; ma non è un libro disperato, piuttosto è un grido, un allarme lanciato a chi vuole ascoltare, anche se il poeta ha la cruda consapevolezza che pochi, nel mondo e nei libri, nella politica e nella società, siano in grado oggi di capire il disastro, di volerne uscire.

Nei testi in prosa che costituiscono la prima parte del libro, Nicola Vacca aveva già descritto così il senso del suo viaggio:

Anche se sono solo, voglio capire il carico di questo vuoto , a pag 11

Aveva identificato nella mancanza di accoglienza, di apertura verso l’altro e verso la realtà tutta, l’origine della decadenza nella quale ci troviamo:

Perché ognuno cammina per la sua strada senza curarsi del vicino che lo sfiora? Come mai ci si guarda in cagnesco avendo paura di scambiarsi un cenno? Perché non si corre in soccorso di un essere umano che ha bisogno e si fa finto di non vederlo?…Preferiamo astenerci restando chiusi nel guscio vuoto del nostro ego, morire giorno per giorno convinti di fare la cosa giusta. Pag 12/13

Aveva già trovato il modo di chiamare alla responsabilità di questa decadenza anche i poeti, forse anche se stesso:

( Il nostro tempo) si è spento perché nessuno ha avuto il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Pag 15

Ma ci aveva anche dato un suggerimento, una chiara indicazione su quello che occorrerebbe fare, e forse anche su come leggere il suo libro, i versi che dopo queste parole compongono questa Mattanza dell’incanto.

Di questi tempi amate la crudeltà delle parole nude. E’ l’unico modo per raccontare il terrore del futuro che vive in mezzo a noi. Pag 18
Ecco, queste parole mi hanno convinto alla fine a scrivere di questo libro: un libro precipitoso, soprattutto in ordine alle scelte lessicali; segnato un po’ dalla fretta con cui in certi passaggi si affidano pensieri importanti a una parola qualche volta consumata; portato talvolta all’astrazione intellettuale che si insinua nelle parole – e questo per un libro di poesia non è una piccola colpa.
Ma è un libro che testimonia di un furore esistenziale, di un’urgenza di scrittura, del desiderio di una verità morale che si mettono lì accanto a te e ti interrogano come altri oggi non sanno più fare. Un libro a cui dire grazie per la rabbia e l’indignazione che lo attraversano e con cui ci richiamano al compitu re vivi , prima ancora che al compito che ci diamo come poeti. Non voglio che si senta solo il mio amico Nicola, non voglio che si pensi da solo a leggere questo mondo scuro nel quale viviamo e ho voglia invece di dirgli grazie per la crudeltà delle parole che raccontano il terrore del presente e del futuro. E per l’invito ad alzare gli occhi, a cercare una grazia colma di luce.
Corrado Bagnoli

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