Corsi di scrittura giammai, ma 7 consigliucci onesti e GRATIS magari sì

Creato il 20 febbraio 2014 da Zioscriba
CURS D’ITALIÀN PER SCRITÙR? NAA…
Lungi da me elargire consigli stilistici. Prima di tutto per umiltà. Poi per quella forma di sano egoismo che spinge lo chef a non divulga-re ingredienti segreti. Ma soprattutto perché ogni scrittore ha (dovrebbe avere) il SUO stile, e non vedo per quale motivo (o meglio lo vedo fin troppo bene, di solito si chiama DENARO, altre volte narcisismo) debba essere lui ad allevare le schiere dei propri ambiziosetti e superflui epigoni, o di scialbi scolari copioni che meglio farebbero a destinare diversamente il proprio tempo e le proprie aspettative. A maggior ragione nella patria della mitomania letteraria (ventimila "scrittori" ogni quattro lettori) e nell'epoca della fregola pubblicativa. Ma qualche consigliuccio sul puro e semplice uso della lingua italiana voglio divertirmi a darlo, fingendo di trovarmi davanti una persona molto giovane (il me stesso bambino?) che me li chiede, e badando bene a non prenderli (io per primo!) per oro inculato.
1 “d” eufoniche. Non sono un lupo mangiatore di “d” eufoniche. Le “d” eufoniche vanno bene. Servono a evitare un inciampo quando l’inciampo c’è. L’importante è che non siano loro a crearlo. Ne ho sempre usate anche nei miei romanzi. Ma usarne troppe (anche se a scuola non ve lo dicono perché non è tecnicamente sbagliato, anzi, vi sono maestrini inadeguati che obbligano gli alunni a impestare i pensierini con quella robaccia) è un errore gravissimo, più che rosso, più che blu, è un errore viola, perché oltre a essere stupido produce cacofonia e infastidisce il lettore. Il mio consiglio è usarle solo quando vanno a cozzare due vocali uguali (“ed è” “ad avere”) e anche qui stando pronti a qualche eccezione: “preparati a addobbare” si legge abbastanza bene strascicando leggermente quella “a” come se fosse un’unica vocale prolungata, e come effetto è senz’altro migliore del cacofonico “ad addobbare”. Ricordiamoci che, al contrario di quanto magari continuano a dire i manualetti ammuffiti, nella lingua italiana la “d” eufonica non è un obbligo, ma solo una questione d’orecchio e di scorrevolezza. Alcuni autori di narrativa arrivano a scrivere addirittura “e è”, ma quello è un vezzo letterario abbastanza fine a sé stesso. “Ed è” va benissimo e ve lo concedo. Ma se vi scopro a scrivere “ed andarono ad Udine ad addobbare l’albero, loro ed un dromedario od uno struzzo” magari non vi strozzo, ma con me avete chiuso. 
2 mai e poi mai fatevi prendere dal feticismo per una parola, un verbo o un modo di dire al punto da ripeterli in ogni paragrafo di ciò che scrivete per tutta la vita. È la vostra parola magica? La vostra parola preferita? Allora concedetele l’onore di metterla nel titolo, e poi imponetevi di non usarla più di una volta ogni cento pagine, per non consumarla, per non svalutarla inflazionandola e per non mancarle di rispetto! [e per non rompere i coglioni]
3 ma, peggio ancora, evitate come la peste le fobiche, maniacali e immotivate avversioni per qualche singola, normalissima componen-te della nostra lingua. Per esempio, gli avverbi che finiscono in “mente” possiedono una formidabile forza espressiva. Certo, in italiano hanno (l’unico) difetto di essere parole lunghette (un “naturally” intralcia meno di un “naturalmente”). Io stesso, se mi accorgo che in prima stesura ne ho piazzati tre o quattro in un paragrafo, di solito in fase di limatura vado a vedere se posso sostituirne uno o due, magari togliendo un “immediatamente” e mettendoci un “subito”. Uno o due, ma NON tutti: imporsi di farlo sempre e comunque significa depotenziare la propria scrittura, significa castrarsi con le proprie mani, significa privare il proprio esercito di un’arma non perché sia meno efficace delle altre ma solo perché al generale quell’arma esteticamente “non piace”. [Ecco, qui il cattivo scrittore si sarebbe fatto venire un attacco di panico, e pur di non usare “esteticamente” avrebbe scritto “su un piano estetico” o “per mere ragioni estetiche”, cioè avrebbe inutilmente allungato il brodo in nome della brevità!] Sarebbe come vedere una persona che in pieno inverno va al lavoro vestita elegantissima (e qui vi faccio notare en passant come pochi abbiano invece avversione per i superlativi, pur essendo anch’essi parole molto lunghe!) ma coi piedi nudi e congelati perché odia le scarpe. Le scarpe ci vogliono. L’importante è non infilarsele anche sulle mani al posto dei guanti, o non legarsele al collo al posto della cravatta o della sciarpa. Se gli avverbi in “mente” vi provocano allergia e vi fanno venire l’orticaria, assumete una compressa di cetirizina, e poi usateli. Con parsimonia, questo sì. C’è gente capace di inanellarne tre nella stessa frase di una riga e mezza. E questo è effettivamente da ritorno coatto in prima elementare…
4 siate pure innovatori, giocate, se ne siete capaci, con la lingua, che non è una roccia granitica ma è plastilina fusa e colorata. Evitando esagerate e goffe forzature, create pure dei neologismi. Ma abbiate sempre rispetto per la parola scritta e per la sua bellezza. Le abbreviazioni che utilizzano numeri o simboli matema-tici, o peggio ancora l’obbrobrioso “nn” al posto di “non”, sono forse tollerabili in quelle veloci forme espressive sottoposte alla tirannia dei 140 caratteri (sms, Cippicippi ecc.). Ma non sono tollerabili, perché indice di sciatteria, e di sfregio e spregio della Scrittura, in un testo di diverso genere. Scrivere “nn” al posto di “non” per risparmiare una “o” non comunica al lettore l’impressione che dall’altra parte ci sia una enorme intelligenza in azione. E di solito il Lettore (anche se molti critici italioti sostengono baldanzo-samente il contrario!) si aspetta che lo Scrittore sia persona abbastanza intelligentina, perché da lui si aspetta una visione particolarmente acuta delle cose umane, acutezza assai difficile da reperire in una persona che scrive “nn” invece di “non” per risparmaire una “o”, o peggio ancora per bovino conformismo da branco giovaniloide.A volte mi diverto a leggere le recensioni dei lettori su ibs. Ebbene, le più stolide e rasoterra sono sempre quelle che usano queste forme di (non) scrittura: “kuesto libro nn mi e piaciuto xkè nn o capito ke voleva dì l autore”. E non è questione di età: magari subito sotto trovi commenti di quindicenni scritti da dio. L’unica idea che mi comunica un “nn” è “figlio di N.N.”. Associazione più che legittima: quel testo appare infatti orfano d’Autore, anzi, probabilmente è un orfano abortito.
5 non dico niente sull’uso nei dialoghi di virgolette o trattini o altro, perché questo è uno degli argomenti più inutili e ammorbanti della blogosfera: fate quello che vi pare! Piuttosto, e qui sconfino appena un po’ nello stilistico, non riempite un testo con dialoghi troppo numerosi e troppo lunghi, accorciate quelli accorciabili – il NON DETTO è sempre la parte più magica di uno scritto – evitate quelli evitabili, riassumetene ogni tanto qualcuno usando la forma indiretta. E soprattutto non dimenticate MAI che il dialogo è quella parte di testo cui dovrete dedicare l’opera di cesellatura più accurata e ispirata. Un dialogo, anche se in apparenza è fra due personaggi banali che dicono cose banali, deve (quasi) sempre contenere qualcosa di originale, di spiazzante, di geniale, di strano, di enigmatico, di inaspettato, di gustoso. Anche qui, senza esagerare: si deve poter capire COSA CAZZO DICONO QUEI DUE. Ma sempre ricordandosi che lo “scrivere” è cosa assai differente dal “trascrivere” (e pure qui sono in controtendenza: molti nostri criticozzi vanno in brodo di giuggiole per gli scrittorelli-magnetofo-no, capaci di imbrattare centinaia di pagine con dialoghetti sciatti e stucchevoli, che ti fanno prudere le mani, ma che loro elogiano perché “verosimili”). Se devo spendere soldi (e tempo) per un romanzo in cui i protagonisti parlano nel seguente modo:
Buonasera!
Ciao carissima!
E grazie mille, signora!
Prego!
Cioè, grazie ancora veramente di tutto
Ma di niente, voglio dire
Di nuovo buonasera signora
Arrivederci
Di nuovo
Ciao
allora lascio volentieri perdere (la lettura NON È un’attività di per sé nobile e superiore a prescindere, come sostengono certi tromboni) e mi dedico ad altro: mi guardo un bel film, mi faccio una passeggiata, gestisco la mia squadra di fantacalcio, accarezzo il mio gatto, ascolto il cd degli Unwise appena uscito, preparo un buon sughetto per la cena. Se mi interessa sentire gente che parla così, scendo giù dalla tabaccaia ad ascoltarla servire i clienti, non compro un Romanzo!
6 alla larga da luoghi comuni, modi di dire, parolette e frasette televisive o di gran moda e banalità assortite: frasi come “il 3 è il numero perfetto”, “aveva le calzine rosa quindi pensai che fosse una femminuccia”, “è un film adrenalinico”,  “ti piace vincere facile”, o non le si usa, o le si usa in senso ironico, o le si mette (ma il meno possibile) in bocca a personaggi cretini per far capire quanto sono cretini.
7 ricordatevi sempre che del vostro passato (o presente) scolastico l’esercizio più imprescindibile non è costituito dai temi, bensì dai RIASSUNTI. Perché le parole sono preziose, e vanno risparmiate. Perché le parole hanno potenza divina, che va rispettata e maneggiata con cura. E soprattutto perché, come diceva il grande Stanislaw J. Lec, “Ogni parola è un pensiero; non si può dire lo stesso di ogni frase”.
p.s. (o 7 bis): "si strinse nelle spalle" in Italiano non vuol dire un cazzo, nessuno lo utilizza nel parlato, probabilmente è un'espres-sione straniera tradotta alla lettera (in Italiano cosa sarà, dare un'alzata di spalle, una scrollata di spalle, allargare le braccia, mettersi a braccia conserte, fare spallucce, afferrarsi le spalle con le mani, o proprio restringersi di spalla dopo esser stati in lavatrice?) ma tutti ne abusano quando non sanno come guarnire un dialogo, perché "fa tanto scrittore"... (fra l'altro, curiosamente, sempre in terza persona e al passato remoto: nessuno mai che scriva "mi stringo nelle spalle" o "si stringeranno nelle spalle"... "Si strinse nelle spalle" è un meme, un logo, un marchio, un tic, un virus). Provate ancora a stringervi nelle spalle e gli Dèi della Scrittura vi taglieranno le palle!
Piuttosto che scrivere alla cazzo, caro immaginario Nick bambino, ci sono milioni di altre cose utili che potresti fare. Per esempio, come direbbe Bukowski, puoi andartene al cesso.

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