Ho terminato da poco il primo incontro del corso di Biblioterapia: scuola di vita attraverso la letteratura che tengo all'Università Popolare di Sona. E' numeroso il gruppo che si è formato quest'anno, quindici persone che ho trovato motivate e ben assortite. Alcuni sono corsisti fedeli, già incontrati gli anni scorsi. I rimanenti sono persone che imparerò a conoscere e che già si sono mostrate interessate e interessanti.
Questa sera ho illustrato il corso e i fondamenti della biblioterapia. Poi ci siamo presentati a vicenda. Ho iniziato portando un brano di Gianrico Carofiglio tratto da La manomissione delle parole in cui parlava della mancanza di lessico e grammatica nei giovani delle classi sociali più svantaggiate con risultati evidenti: l'incapacità di esprimere sentimenti e frustrazioni, parlando o scrivendo, sviluppa l'esigenza di esprimersi in altro modo. E questo altro modo è spesso la violenza. Una corsista in disaccordo ha espresso un quesito: se ciò che dice Carofiglio è vero, per quale motivo proprio dalle classi sociali più elevate, fornite di un bagaglio culturale molto ricco, non di rado si compiono omicidi e brutalità (ad esempio quelli compiuti in ambienti universitari o da famiglie agiate)? Difficile rispondere e proprio per questo il dibattito è stato molto stimolante.
A seguire ho parlato della sonorità delle parole, del piacere di un testo ben scritto di cui poter godere. Ho presentato degli incipit da confrontare tra loro: Grandi speranze di Dickens, Un luogo chiamato libertà di Follett, Fai bei sogni di Gramellini, L'arpa d'erba di Capote. Alcuni di questi sono piuttosto piatti, altri estremamente piacevoli e articolati. Riuscite a indovinare quali sono di un tipo o dell'altro?
Serata interessante, dicevo, e per me rilassante e gradevole. In questo mio amato mondo dei libri spero saprò ancora una volta accompagnare i sempre fedeli compagni di viaggio così come i nuovi, mostrando loro gli infiniti orizzonti che la letteratura può offrire.