Corte di Giustizia europea: Google AdWords non viola la normativa sui marchi

Da Dirittobook

AdWordsè un servizio di posizionamento a pagamento fornito da Google. Esemplificando molto il suo funzionamento, tale servizio consente a qualsiasi soggetto di selezionare una o più parole chiave da “associare” ad un messaggio pubblitario che rimanda ad uno specifico sito internet. Quando un utente cercha su google parole che coincidono con quelle impostate nell’annuncio, compare nella sezione «link sponsorizzati» (parte destra o superiore dello schermo ) un link pubblicitario verso il suo sito.
Si tratta, in altre parole, di un servizio che realizza del marketing mirato, consentendo di indirizzare la pubblicità a target ben precisi.
Il servizio, però, si presta anche ad abusi (come, in generale, tutti i servizi di Internet…).
Louis Vuitton e altri titolari di marchi celebri, hanno contestato il fatto che AdWords fosse utilizzato da siti che offrivano prodotti contraffatti, sfruttando proprio le ricerche basate sui propri marchi. In pratica, digitando ad esempio “Louis Vuitton” su Google, comparivano nei risultati link sponsorizzati che rimandavano a siti che vendevano esemplari falsi delle famose borse francesi.
Paradossalmente il marchio diventava, quindi, un danno e non una risorsa per il legittimo titolare!
L’istanza è infine giunta alla Corte di Giustizia Europea, che è stata chiamata a derimere la questione relativa a “l’impiego di parole chiave corrispondenti a marchi altrui nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet”. La Corte giustamente ha distinto in maniera netta la posizione del contraffattore (il sito che vende prodotti falsi) da quella dell’intermediario (Google): l’abuso del marchio può essere contestato al contraffattore (o comunque a colui che utilizza la parola chiave per fare concorrenza sleale) ma non a chi si limita a mettere a disposizione tale servizio.
La Corte stabilisce che è necessario verificare se Google ha svolto, in questo caso, “un ruolo meramente tecnico, automatico e passivo, comportante una mancanza di conoscenza o di controllo dei dati che esso memorizza“.
Si torna così nell’ambito della normativa europea in tema di responsabilità del provider (per maggiori info si veda questo articolo) che riconosce la responsabilità solo nel momento in cui il prestatore di servizi della società dell’informazione, venuto a conoscenza dell’abuso di un inserzionista – ometta di rimediare.



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