Condannata l'Italia per quanto avvenuto a Genova nella scuola durante il G8 del 2001. Per i Giudici il diritto penale italiano è anche "inadeguato e privo di disincentivi in grado di prevenire efficacemente il ripetersi di possibili violenze da parte della polizia
Lo ha stabilito la Corte europea dei Diritti dell'Uomo per l'irruzione delle forze dell'ordine alla scuola Diaz condannando l'Italia per tortura per l'irruzione delle forze dell'ordine alla scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001. I Giudici hanno sentenziato che i maltrattamenti subiti dalle persone presenti nella scuola Diaz di Genova da parte delle forze dell'ordine "devono essere qualificati come 'torturà", ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione dei Diritti dell'Uomo. Il ricorso era stato presentato da Arnaldo Cestaro, 62enne all'epoca dei fatti, presente nella scuola al momento dell'irruzione della polizia e vittima di percosse che gli procurarono fratture multiple. Secondo la decisione della Corte, osserva Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti", la mancata identificazione degli autori materiali dei maltrattamenti dipende "in parte dalla difficoltà oggettiva della procura a procedere a identificazioni certe, ma al tempo stesso dalla mancanza di cooperazione da parte della polizia". Di fronte alla gravità dei fatti la reazione delle autorità italiane è stata "inadeguata", così come lo è il diritto penale italiano nel sanzionare e prevenire atti di tortura. Si legge inoltre, il diritto penale italiano è anche "inadeguato e privo di disincentivi in grado di prevenire efficacemente il ripetersi di possibili violenze da parte della polizia". Infine l'Italia la Corte di Strasburgo richiamata a "stabilire un quadro giuridico adeguato, anche attraverso disposizioni penali efficaci". Il carattere del problema è "strutturale" e pertanto si deve munire di strumenti legali in grado di "punire adeguatamente i responsabili di atti di tortura o di altri maltrattamenti", impedendo loro di beneficiare di misure in contraddizione con la giurisprudenza della Corte stessa.
Lecce, 7 aprile 2015
Giovanni D'AGATA