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Cortei.

Creato il 15 dicembre 2010 da Idiotecabologna

5. Piccolo dizionario di parole fraintese (continuazione)

CORTEI. Per la gente in Italia o in Francia è facile. Quando i genitori li obbligano ad andare in chiesa, loro si vendicano iscrivendosi a un partito (comunista, maoista, trockista, ecc.). Il padre di Sabina, invece l’aveva mandata prima in chiesa e poi, per paura, l’aveva obbligata lui stesso a entrare nella Gioventù comunista.

Quando andava alla parata del primo maggio, Sabina non riusciva a tenere il passo, e la ragazza che le veniva dietro la insultava e le pestava i talloni. E quando si doveva cantare, non conosceva mai il testo delle canzoni e si limitava ad aprire e chiudere la bocca. Le sue compagne però se ne accorgevano e le facevano rapporto. Dalla giovinezza Sabina odiava ogni tipo di corteo.

Franz aveva studiato a Parigi e poiché era straordianariamente dotato, già a vent’anni aveva davanti a sé una carriera scientifica assicurata. Già allora sapeva che avrebbe passato la vita tra le pareti di uno studiolo universitario, delle biblioteche pubbliche e di due o tre aule; questa idea gli dava una sensazione di soffocamento. Voleva uscire dalla propria vita come da un appartamento si esce in strada.

Per questo, quando viveva a Parigi, amava partecipare alle manifestazioni. Era bello andare a celebrare qualcosa, a rivendicare qualcosa, a protestare contro qualcosa, non essere soli, stare all’aperto e insieme agli altri. I cortei che affluivano dal Boulevard Saint-Germain o da Place de la République lo affascinavano. La folla che marciava scandendo slogan era per lui l’immagine dell’Europa e della sua storia. L’Europa era la Grande Marcia. Una marcia di rivoluzione in rivoluzione, di battaglia in battaglia, sempre avanti.

Potrei metterla in un altro modo: a Franz la vita tra i libri pareva irreale. Desiderava fortemente la vita reale, il contatto con l’altra gente ce gli camminava a fianco, le loro grida. Non si rendeva conto che ciò che lui considerava irreale (il suo lavoro nella solitudine di uno studio o delle biblioteche) era la sua vita reale, mentre i cortei che rappresentavano per lui la realtà non erano che teatro, una danza, una festa, o per dirla inun altro modo: un sogno.

Al tempo dei suoi studi, Sabina abitava in una Casa dello studente. Il primo maggio tutti gli studenti dovevano trovarsi al mattino presto nel punto di raccolta di corteo. Affinché non mancasse nessuno, i funzionari studenteschi controllavano che l’edificio fosse vuoto. Lei si nascondeva nei gabinetti e tornava nella sua camera soltanto quando tutti erano già andati via da un pezzo. C’era un silenzio che non aveva mai conosciuto prima. Solo da molto lontano giungeva la musica del corteo. Era come essere nascosta dentro una conchiglia e sentir giungere da molto lontano il mare di un mondo nemico.

Un paio d’anni dopo aver lasciato la Boemia, si trovò del tutto casualmente a Parigi proprio nell’anniversario dell’invasione russa. Si teneva una manifestazione di protesta e lei non poté fare a meno di parteciparvi. I giovani francesi sollevavano il pugno urlando slogan contro l’imperialismo sovietico. Quegli slogano le piacevano, ma all’improvviso scoprì con stupore di non essere capace di gridare insieme agli altri. Non resistette nel corteo che pochi minuti.

Confidò quell’esperienza agli amici francesi. Ne furono stupefatti: . Lei voleva dir loro che dietro il comunismo, dietro il fascismo, dietro tutte le occupazioni e tutte le invasioni si nasconde un male ancora più fondamentale e universale, e che l’immagine di quel male era per lei un corteo di gente che marcia levando il braccio e gridando all’unisono le stesse sillabe. Ma sapeva che non sarebbe riuscita a spiegarglielo. Imbarazzata, spostò la conversazione su un un altro argomento.

Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’Essere


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