Con Omeopatia si intende un metodo di cura, basato sulla legge dei simili, che prevede l'utilizzo di un rimedio (detto rimedio omeopatico) che produce nel soggetto sano gli stessi sintomi della malattia che si può curare. Pertanto, il rimedio è simile alla malattia nella espressione dei sintomi che produce, ma di specie od origine diversa, cioè non è derivato o composto dello stesso agente causale della malattia.
Un altro chiarimento riguarda i vari tipi di Omeopatia in uso, poiché dalla iniziale ortodossia si sono poi formate diverse scuole e altrettanto diversi atteggiamenti terapeutici.
L'Omeopatia Unicista è quella più aderente al rigore hahnemanniano, perché prevede la prescrizione di un solo rimedio alla volta (un individuo nel corso della vita può richiedere anche rimedi diversi) che viene prescritto secondo i fondamenti dell'Organon.
L'Omeopatia Pluralista prevede l'utilizzo di più rimedi alla volta e in particolare, in quella che viene chiamata Omeopatia Complessista (o Clinica), è invalso l'uso di complessi, ovvero preparati che contengono, già nello stessa formulazione, sostanze diverse. È questo un approccio più sintomatico che cerca di contrastare il sintomo piuttosto che la malattia, rimanendo in una sfera d'azione certamente più superficiale, sia dell'individuo che della sua sofferenza.
IL PRINCIPIO DI SIMILITUDINE
Hahnemann arrivò alla formulazione di questo principio sostanzialmente attraverso due vie:
- la sperimentazione (dapprima della corteccia di China e poi di altri rimedi),
- l'osservazione delle leggi della Natura, analizzando ciò che succede quando nello stesso soggetto si incontrano due malattie che hanno sintomi completamente diversi (malattie dissimili), oppure malattie con sintomi comuni (malattie simili).
Il resoconto delle sue osservazioni, attinte da una grande quantità di esempi clinici che lui stesso o i suoi contemporanei avevano modo di osservare nel corso dell'attività medica, viene riferito nei paragrafi 34-42 e 43-51 dell'Organon e va sotto il nome di “Studio delle malattie simili e dissimili”.
In una successiva analisi, Hahnemann espone cosa si verifica quando nel corso naturale della malattia o della sovrapposizione di due malattie, il medico interviene con dei medicamenti allopatici.
1 - MALATTIE DISSIMILI
Nello studio delle malattie dissimili, Hahnemann prende in esame malattie completamente diverse tra loro che non hanno alcun sintomo in comune; gli esempi che riferisce sono tratti dalla situazione epidemiologica dell'epoca, dove erano molto più frequenti malattie per lo più infettive che oggi sono meno presenti, ma possiamo attualizzare lo stesso concetto con esempi più vicini alla nostra esperienza.
Primo caso
È il caso di una malattia nuova di debole intensità che si sovrappone, nello stesso soggetto, ad una malattia preesistente e più forte come intensità (Hahnemann riporta l'esempio di una dissenteria leggera autunnale in un malato di tisi, che è una forma di tubercolosi cronica in fase attiva di riacutizzazione).
Risultato: la malattia nuova non ha la forza di manifestarsi e l'individuo continua a presentare i sintomi della vecchia malattia. Potremo anche considerare il caso di una lieve forma influenzale che colpisce un soggetto già fortemente impegnato a contrastare una malattia cronica di cui è affetto, come il diabete mellito. Durante un'epidemia influenzale, quindi, alcuni individui non si ammalano perché sono più robusti immunologicamente, ma solamente perché sono già malati di una forma cronica più impegnativa.
Secondo caso
È il caso opposto al precedente, in cui una nuova malattia acuta e forte come intensità si sovrappone nello stesso soggetto ad una malattia già esistente. Risultato: in questo caso sarà la malattia nuova e acuta a manifestarsi sospendendo i sintomi della malattia antica, che poi si ripresenterà, più o meno modificata nella sua espressione, quando la malattia nuova più forte avrà completato il suo corso. Hahnemann porta come esempio il caso di bambini che soffrono di epilessia nei quali compare una tigna (malattia infettiva della pelle); in questi casi gli attacchi epilettici spariscono fino a quando è presente l'eruzione, ma non appena questa scompare, l'epilessia ritorna come prima dell'infezione.
Terzo caso
A una malattia cronica antica si sovrappone un'altra malattia cronica di uguale intensità.
Risultato: si origina una malattia complessa in cui ciascuna malattia guadagna il distretto dell'organismo che le è proprio.
2 - MALATTIE SIMILI
Quando in Natura si incontrano due malattie simili, dice Hahnemann, esse non si respingono mai, come nel primo caso delle malattie dissimili, mai si sospendono come nel secondo caso, mai convivono entrambi nello stesso soggetto (III caso).
L'esempio molto esemplificativo che riporta riguarda casi di morbillo con la tosse (la tosse non è un'evenienza comune nella storia del morbillo) che venivano guariti se questi bambini erano contagiati e si ammalavano di pertosse. È evidente che le due malattie si assomigliano per un sintomo che hanno in comune, la tosse, e questo era sufficiente per permettere alla malattia più forte, in questo caso la pertosse, non solo di sospendere, ma proprio guarire il morbillo: alla fine della pertosse i bambini non avevano più né i sintomi della pertosse, né i sintomi del morbillo.
Un altro esempio può essere il caso di un bambino con la dermatite che si ammala di morbillo o di varicella, cioè un'altra malattia con sintomatologia cutanea più forte rispetto alla malattia di base; in questa situazione dopo il morbillo o la varicella la dermatite non compare più.
Un altro caso a tutti noto è l'effetto protettivo che il vaiolo vaccino ha nei confronti del vaiolo umano: soggetti contagiati dal vaiolo delle vacche risultavano immuni al vaiolo umano ben peggiore come mortalità: osservazione che segnò l'inizio della pratica delle vaccinazioni.
Quindi, una malattia può essere curata solo da un agente che produca sintomi simili, ma più forti d'intensità. Questo ce lo dice una legge naturale che confermò Hahnemann nelle sue ricerche sperimentali.
Ovviamente, il vantaggio di un medicamento simile, rispetto ad una malattia simile più forte, è che:
- il suo potere si estingue spontaneamente;
- può essere dosato in modo da essere più forte, ma solo leggermente, rispetto alla malattia che deve curare.
3 - CONCLUSIONE
Possiamo concludere affermando che:
- ogni sostanza biologicamente attiva (rimedio o farmaco) produce sintomi caratteristici in organismi sani suscettibili a quella sostanza;
- ogni organismo malato esprime una serie di sintomi caratteristici che sono tipici della sua personale alterazione patologica;
- la guarigione di un organismo malato può essere ottenuta mediante la somministrazione mirata del rimedio che in organismi sani ha prodotto un quadro sintomatologico simile.
Secondo Hahnemann, il farmaco allopatico agisce come una malattia dissimile più debole, se somministrato a basse dosi (e in questo caso non modifica minimamente la malattia per la quale è somministrato) o come una malattia dissimile più forte, se somministrato in dosi più consistenti o in individui più deboli. In questo caso quasi mai si verifica solo una sospensione transitoria della malattia (come nel caso II), perché per lo più la malattia riprende complicata dai sintomi del farmaco, quelli che chiamiamo comunemente sintomi iatrogeni.
Un individuo affetto da una malattia infiammatoria cronica, come l'artrite reumatoide, e che necessita di antinfiammatori per lungo tempo, a causa del trattamento, oltre ai disturbi della sua malattia, soffrirà anche dei sintomi indotti dalla terapia farmacologica (bruciore gastrico o ulcera nei casi più gravi, alterazione di alcuni parametri ematologici, ecc.).
IL RIMEDIO OMEOPATICO
Abbiamo accennato che la denominazione di rimedio omeopatico si riferisce a quel medicamento diluito e dinamizzato la cui azione terapeutica è stata verificata tramite una sperimentazione sull'individuo sano; tale tipo di sperimentazione, il cui nome inglese è proving, è uno dei presupposti basilari su cui si fonda l'Omeopatia.
Il rimedio omeopatico ha due caratteristiche:
- la diluizione o attenuazione energetica;
- la succussione o dinamizzazione.
Entrambi questi passaggi, e non uno solo di essi, conferiscono al rimedio quella che si chiama la potenza omeopatica, ovvero la sua capacità energetica. L'uso della diluizione ha una sua precisa ragione storica: molte delle sostanze inizialmente provate erano derivate da composti altamente tossici e non potevano essere usate come tali per la sperimentazione. Fu allora che Hahnemann iniziò a provarne l'effetto con dosi molto piccole, cioè molto diluite, somministrate ripetutamente nel proving fino alla comparsa dei sintomi. Nel corso di queste iniziali esperienze riferì di aver osservato che se un paziente necessitava di un rimedio, ovvero se c'era corrispondenza tra il quadro della sua malattia e i sintomi indotti da quel rimedio nella sperimentazione, egli tendeva a essere molto sensibile al rimedio stesso. Perciò si potevano utilizzare dosaggi molto più bassi (rimedi diluiti con piccole quantità della sostanza) di quelli necessari per ottenere una risposta in un soggetto sano (cioè nel proving).
Anche la succussione o scuotimento della soluzione nasceva da un motivo puramente pratico: rendere omogenea la soluzione stessa. Solo in seguito si osservò che questo procedimento era necessario per aumentare l'effetto delle sostanze diluite.
Le tecniche di preparazione dei rimedi omeopatici sono oggi codificate dettagliatamente nelle varie farmacopee, di cui le più importanti sono quella tedesca e quella francese. I materiali grezzi provengono da tutti e tre i regni della Natura e vengono estratti mediante solubilizzazione in acqua e alcool. Se si tratta di materiali insolubili, essi vengono dapprima triturati e polverizzati con lattosio (che funge da substrato inerte) e poi portati in soluzione idroalcolica. Le soluzioni di partenza sono dette tinture madri (T.M.). Da queste si procede per le diluizioni successive. Le scale di diluizione sono:
- la scala decimale (1:10), indicata con D, dh, X, x
- la scala centesimale (1:100), indicata con le sigle C, ch, c
- la scala cinquantamillesimale (1:50.000), indicata con LM.
Lo schema sottostante rappresenta il metodo di preparazione hahnemanniano che prevede l'utilizzo di più flaconi, uno per ciascun passaggio: a sinistra è rappresentata la diluizione 1:10 (scala decimale) e a destra la diluizione 1:100 (scala centesimale).
Esiste anche il metodo korsakoviano (K) in cui il flacone viene svuotato della soluzione ad ogni passaggio e si considera come goccia unitaria la quantità di liquido che rimane adesa alla parete del flacone. Alla goccia, che convenzionalmente rappresenta in questo metodo l'unità, si aggiungono 99 gocce della soluzione idroalcolica e si procede alla succussione secondo il metodo hahnemanniano.
Le diluizioni centesimali sono quelle storicamente più usate. Hahnemann utilizzò fino alla 30ch e la dose standard del proving è proprio questa. Quindi, la sigla 30ch significa che siamo di fronte ad una preparazione secondo il metodo hahnemanniano, che la scala di diluizione è la centesimale e la sostanza ha subito trenta passaggi di diluizione e succussione, cioè ad ogni passaggio il flacone viene sottoposto ad un processo di scuotimento, dall'alto verso il basso, che convenzionalmente è ripetuto per 100 volte.
Nella pratica clinica le centesimali più utilizzate sono: 4ch, 5ch, 7ch, 9ch, 12ch, 15ch, 30ch, 200ch, 1.000ch, 10.000ch, 50.000ch, 100.000ch. Le diluizioni cinquantamillesimali hanno un procedimento di preparazione diverso, che viene descritto da Hahnemann solo nella sesta edizione dell'Organon, edizione peraltro molto discussa anche in ambiente omeopatico. In questo metodo di preparazione la sostanza subisce prima alcuni passaggi in fase solida, cioè attraverso la triturazione con lattosio, e poi quando è ridotta ad un cinquecentesimo della parte iniziale viene portata in fase liquida e dinamizzata fino a 1/50.000 (che corrisponde alla 1LM).
Quindi, le sostanze arrivano nella forma finale come liquidi, tuttavia i rimedi si trovano anche in forma di palline di lattosio (i globuli, più piccoli, nei tubi per la dose unica, e i granuli, più grossi, in tubi muniti di un particolare sistema che permette di dosare il numero delle palline e consente somministrazioni ripetute).
Per presentarsi in questo modo, le palline di lattosio vengono messe in contatto con la soluzione preparata del rimedio e poi essiccate. Questo processo viene definito impregnazione, poiché il liquido impregna, dapprima superficialmente ma poi anche internamente, il globulo o il granulo.
Le variabili per ottenere una sufficiente impregnazione sono: il tempo per cui la soluzione rimane in contatto con il globulo e la quantità totale di globuli da impregnare. Oggi le case farmaceutiche omeopatiche sono provviste di sofisticati metodi per controllare che il procedimento avvenga in modo corretto.
Diversamente dalle palline di lattosio, i rimedi in gocce offrono il vantaggio di poter essere dinamizzati prima di ogni somministrazione, scuotendo il flacone con almeno 5 colpi, tuttavia sono più difficili da conservare. Se occorre ripetere un rimedio che è già stato assunto in granuli, magari più volte nella stessa giornata (quale è il caso di forme morbose acute, per esempio una febbre) si deve comunque passare alla fase liquida, sciogliendo i granuli in un dito d'acqua e poi agitando il bicchiere con un cucchiaino o meglio ancora utilizzando una piccola bottiglia di vetro e scuotendola dall'alto verso il basso per almeno 10 volte prima di ogni successiva somministrazione; è di fondamentale importanza la succussione tutte le volte che è necessaria una ripetizione della stessa diluizione.
Non bisogna poi dimenticare che nella maggior parte dei dosaggi utilizzati la quantità di sostanza presente si riduce a poche molecole, anzi al di sopra del numero di Avogadro (6,02 x 1023 è il numero per ottenere la massa in grammi dal peso atomico relativo di una sostanza) la chimica non riconosce più l'esistenza di materia nella soluzione.
Quindi, in Omeopatia si ha a che fare con sostanze altamente energetiche che richiedono notevole cura nel maneggiarle. I granuli non si devono toccare con le mani, i tubi e i flaconi andrebbero conservati in una zona della casa dove non vi si utilizzano profumi, aromi o spezie (la libreria sembra il posto più appropriato).
Oltre a questa osservazione di carattere pratico, l'utilizzo di sostanze a medio-alta diluizione (potenze superiori alla 12ch) è stata per lungo tempo al centro delle controversie che dividono la Medicina convenzionale dall'Omeopatia.
Esistono oggi numerosi studi fisico-chimici che spiegano il meccanismo d'azione di tali diluizioni; il problema rimane la riproducibilità di tali esperimenti data l'instabilità di queste diluizioni (e la riproducibilità di un esperimento, insieme alla verificabilità di una ipotesi di lavoro, rappresentano i due concetti fondamentali della ricerca scientifica).
Nel 1988 venne per la prima volta avanzata l'ipotesi della memoria elettromagnetica dell'acqua da Benveniste. Quella che allora sembrava un'eresia, oggi è stata confermata da diversi gruppi di ricerca. In pratica, l'acqua ha un comportamento dinamico e le molecole sono in grado di formare dei reticoli assimilabili ad un filo conduttore. Quando l'acqua viene posta in un campo magnetico le molecole si mettono ad oscillare all'unisono in modo coerente, o come si dice, in fase. La frequenza di oscillazione può essere trasmessa ai liquidi biologici.
L'acqua si comporta cioè come un materiale non inerte e passivo, ma dinamico nella trasmissione di una informazione energetica. Ogni stimolo fisico-chimico, e quindi anche la sostanza del rimedio, ha una certa frequenza di oscillazione che viene trasmessa all'acqua della soluzione, la quale continua a vibrare con la stessa frequenza anche quando la sostanza non è più presente.
Il processo di agitazione del liquido (succussione) avrebbe proprio il compito di “riattivare la memoria dell'acqua” ad ogni passaggio di diluizione, cioè ‘rienergizzarla' con la stessa frequenza corrispondente alla sostanza iniziale. L'acqua fungerebbe così da messaggero, trasferendo poi la frequenza di oscillazione, ovvero l'informazione, ai tessuti e ai liquidi biologici dell'organismo che l'assume.
Sono state fatte altre ipotesi sul meccanismo di trasferimento dell'informazione da parte dell'acqua (tramite degli aggregati di molecole particolari, cavi al centro, che incorporerebbero così la molecola di soluto, i cosiddetti cluster) e la possibilità di una verifica sperimentale non sembra più così lontana. La ricerca di base in Omeopatia ha ormai permesso di ritenere che il rimedio omeopatico sia dotato di una specificità nei confronti di sistemi ‘recettoriali' dell'organismo. Il segnale veicolato dalla soluzione viene riconosciuto specificamente dall'organismo bersaglio ed elaborato in modo da indurre un'azione positiva su tutto il sistema. Si tratterebbe comunque di un'attività biologica in presenza di tracce di molecole, tanto che è stato coniato il termine di biologia metamolecolare, e l'informazione veicolata differisce da quella conosciuta dalla biologia e dalla farmacologia classiche.
---> Articolo tratto dal libro "Introduzione all'Omeopatia" di Associazione Lycopodium