Cosa distrusse Sodoma e Gomorra?

Creato il 15 marzo 2015 da Univeryo7p

Nell’Antico Testamento si narra della distruzione di Sodoma e di Gomorra, Adamar, Zoar e Zeboim (la cosiddetta Pentapoli) ed altre per un numero complessivo di 13 citta’ per opera divina, a causa dell’empietà dei suoi abitanti. Secondo la narrazione biblica le cinque città principali, denominate “città della pianura”, erano situate sulla riva del fiume Giordano, a sud di Canaan. La pianura, che sarebbe quindi situata nella zona a nord del Mar Morto, nella Genesi viene paragonata al giardino dell’Eden

Nessuno scienziato ha mai spiegato in modo sufficiente l’esistenza dei tectiti, strani globuli di roccia radioattiva, di aspetto vetroso , che si possono trovare, fra l’altro, in Libano. Secondo una teoria avanzata dal dottor Ralph Stair, dell’Ufficio Nazionale Pesi e Misure degli Stati Uniti, è possibile che i tectiti siano giunti da un pianeta distrutto, i cui frammenti ora orbitano fra Marte e Giove formando una fascia di asteroidi. Un’altra teoria ancora più inquietante è stata proposta da un matematico sovietico , il professor Agrest. Secondo Agrest, la composizione dei tectiti presuppone l’azione di temperature estremamente elevate oltre a quella della radiazione nucleare. Egli sapeva che nessun ordigno nucleare era stato fatto esplodere di recente nella zona del Mar Morto, ma non si poteva escludere che la conflagrazione fosse successa in epoca biblica.

Nella Bibbia, il libro della Genesi menziona Sodoma a partire dal capitolo 10 e la situa nel territorio popolato dai Cananei. Secondo quanto riferisce la Bibbia nel cap. 18 della Genesi, Dio rivelò ad Abramo che stava per distruggere Sodoma e Gomorra, perché “il loro peccato era molto grave” e “il grido che saliva dalle loro città era troppo grande”. Abramo intercedette per le persone giuste della città contrattando con Dio e Dio gli rispose che non l’avrebbe distrutta se avesse incontrato dieci persone giuste nella città. Secondo il prosieguo nel cap. 19, ai versetti 1-38, due dei tre angeli [9] di Dio che Abramo prima aveva incontrato, entrarono a Sodoma. Nel vederli, Lot li invitò nella sua casa e insistette affinché trascorressero la notte nell’abitazione. Tuttavia, prima che ciò potesse avvenire, gli abitanti di Sodoma attorniarono la casa ed esigettero che Lot consegnasse loro i suoi invitati per poter abusare di loro. Lot rifiutò, offrendo al loro posto le sue due figlie vergini pur di non commettere un grave peccato agli occhi di Dio contro la legge dell’ospitalità, ma essi rifiutarono, insistendo nelle loro pretese. Gli abitanti di Sodoma provarono così a fracassare la porta d’ingresso, ma i due invitati impedirono l’accesso all’interno della casa agli assalitori accecandoli tutti con un’abbagliante luce. Dopodiché essi dissero a Lot di abbandonare subito con la sua famiglia la città, intimandogli di non voltarsi indietro. Lot avvisò i suoi generi, che però non gli diedero retta e così Lot abbandonò la casa e la città solo con sua moglie e le sue figlie, chiedendo e ottenendo che si salvasse la piccola città di Zoar, nei pressi di Sodoma. Quindi Dio inviò una pioggia di fuoco e zolfo che incenerì del tutto Sodoma con i suoi abitanti, assieme ad altre città della pianura. L’ordine di non voltarsi indietro a vedere quanto Dio aveva decretato accadesse alla città non fu eseguito dalla moglie di Lot che, per quell’atto di disubbidienza, fu trasformata in una statua di sale. Lo zio di Lot, Abramo, da una montagna vide la colonna di fumo che si alzava da quella che era stata Sodoma.

Tale racconto, una narrazione forse mitica e allegorica, che racchiude molti significati simbolici, ha ispirato per millenni predicatori, artisti, legislatori, politici. Secondo alcuni il racconto trae origine dal mito greco di Filemone e Bauci.

Quello della distruzione di Sodoma è un racconto eziologico, che cioè “spiega” la ragione per cui quel territorio attorno al Mar Morto fosse e sia tuttora così desolato. La ragione scientifica è ovviamente che il Mar Morto non ha alcun emissario e man mano che l’acqua evapora, il sale vi si concentra a tal punto da rendere impossibile la vita (con l’eccezione di qualche batterio alofilo): la sua acqua è, letteralmente, salamoia.

Secondo alcuni esegeti[senza fonte], la narrazione della catastrofe che distrugge le “cinque città della pianura” si presenta come un doppione del mito del diluvio universale, che è stata collazionata con la narrazione dello stupro della concubina del levita di Efraim a Gibea/Gabaa (Giudici 19,20-30). Il parallelo fra catastrofe di Sodoma e Diluvio Universale si svilupperebbe nei seguenti punti:

L’umanità viene sterminata:

(diluvio) con l’acqua

(Sodoma) col fuoco

Si salva solo una famiglia: che questo in origine avvenisse anche nel mito di Sodoma lo si ricava dall’esplicita frase delle figlie di Lot, “Non c’è più nessuno sulla terra per venire da noi” (Genesi 19,31).

La prole ha un rapporto sessuale incestuoso col padre: che lo “scoprire la nudità” (Genesi 9,22) di Noè da parte di Cam abbia significato sessuale anche in questo brano biblico, oltre che altrove, lo afferma addirittura il Talmud di Babilonia (Sanhedrin 70a, Ghemarah); su tale interpretazione si veda anche: Anthony Phillips, Uncovering the father’s skirt, “Vetus Testamentum”, XXX 1980, pp. 38-42).

Dai colpevoli dell’incesto in seguito nascono le tribù non ebree della Palestina:

(diluvio) da Cam, figlio di Noè: Cananei

(Sodoma) dalle figlie di Lot: Moabiti e Ammoniti,

le cui origini vengono in questo modo macchiate dal comportamento sessuale ignobile dei loro avi che, nel caso dei Cananei, è addirittura giustificazione di un destino di schiavitù sancito dal Dio della Bibbia stesso (Genesi 9,25-26).

Il mito di Sodoma e la morale sessuale

Indipendentemente dal fatto di considerare o meno il racconto di Sodoma come il resoconto “giornalistico” di un fatto realmente accaduto, è facile notare che chi ne scrisse in origine non aveva in mente come bersaglio la trasgressione sessuale, bensì un altro tipo di trasgressione: quella contro l’ospitalità.

Il comportamento di Lot, che a Sodoma è uno straniero ma che è il solo a offrire ospitalità a viaggiatori sconosciuti, è descritto come quello d’una persona che tiene in tale considerazione il dovere sacro dell’ospitalità, da compiere un gesto assolutamente paradossale, per l’epoca in cui fu scritto il racconto: offrire le figlie al posto degli ospiti alla folla che tumultua fuori dalla sua porta.

Per capire questo gesto va tenuto in considerazione il fatto che nelle società del Vicino Oriente antico, maschiliste e patriarcali secondo il punto di vista dell’odierna civiltà occidentale, l’”onore” delle donne della famiglia era uno degli elementi sulla cui base si giudicava l’onore personale del capofamiglia e quindi il suo valore come essere umano. Eppure Lot è disposto a sacrificare tale onore pur di non sacrificare un onore ancora più importante, quello che gli deriva dal rispetto del suo obbligo sacro di ospitalità. Il suo comportamento va insomma capito nel contesto della sua epoca: il gesto di offrire le figlie, che suscita orrore ai nostri occhi, è un comportamento paradossale per mostrare, con un’esagerazione retorica, a quale punto incredibile potesse arrivare un uomo “giusto” (quale era Lot) pur di onorare il dovere di ospitalità.

Il profondo mutamento della pratica dell’hospitalitas, la cui importanza è diminuita nelle società occidentali moderne, ha portato secondo alcuni a una maggiore evidenziazione del tema della trasgressione omosessuale. La quale però può essere vista come il mezzo attraverso cui si esprime la colpa degli abitanti di Sodoma, e non costituisce la colpa stessa. L’interpretazione ebraica non si è del resto mai discostata da questa interpretazione, che è chiaramente espressa in altri punti della Bibbia in cui Sodoma è nominata quale esempio d’inospitalità e mancanza di carità, e non per la sua perversione sessuale. (Si veda per un esempio Ezechiele, 16, 49: “Ecco, questa fu l’iniquità di tua sorella Sodoma: lei e le sue figlie vivevano nell’orgoglio, nell’abbondanza del pane e in una grande indolenza, ma non sostenevano la mano dell’afflitto e del povero”).

Sulla base di questo ragionamento diversi autori che hanno scritto sulla condanna cristiana del comportamento omosessuale (in primo luogo nel 1955 il teologo anglicano Derrick Bailey, alle cui tesi si è rifatto nel 1980 lo storico cattolico John Boswell in un celebre saggio), hanno sostenuto che il “vero” peccato di Sodoma non fu la “sodomia”, ma appunto l’inospitalità.

In particolare Boswell notò che il verbo eufemistico usato dagli abitanti di Sodoma per dire a Lot cosa intendano fare agli stranieri, yâdha‘, nella Bibbia è usato sì anche nel senso di “avere rapporti sessuali”, ma vuol dire in realtà quasi esclusivamente “conoscere”: il verbo ha un significato sessuale appena 10 delle 943 volte in cui appare nella Bibbia. Boswell conclude quindi che gli abitanti di Sodoma tumultuarono solo per “conoscere” (non necessariamente con intenzioni amichevoli) chi fossero gli estranei che Lot, straniero, s’era permesso d’ospitare, introducendo così potenziali spie nemiche in città.

Una lettura attenta del brano permette però di osservare che, se da un lato non è la trasgressione sessuale ciò che preoccupa l’autore di questo brano, d’altro canto la preoccupazione per l’osservanza dell’ospitalità non implica che al racconto sia estranea la punizione d’una trasgressione sessuale. Boswell ha trascurato di rendere conto del parallelo con la narrazione della vicenda del levita di Efraim, che ci mostra che l’atto di imperdonabile inospitalità che gli abitanti di Sodoma intendevano compiere ai danni degli angeli era di tipo sessuale. Se progettassero o meno un “atto sodomitico” vero e proprio, questo il racconto biblico non ci permette di capirlo, tuttavia sul fatto che progettassero uno stupro la dice abbastanza lunga il fatto stesso che Lot abbia offerto le due figlie al posto dei due ospiti, proprio come il levita, nel passo parallelo, ha gettato alla folla la sua concubina affinché la stuprasse.

In conclusione:

il mito non appare nato per istruire sul corretto comportamento sessuale, dato che questo è uno dei testi meno adatti della Bibbia per insegnare una corretta morale sessuale. L’autore non si stava preoccupando di fornire esempi di retto comportamento sessuale, e neppure di retto comportamento tout court: non uno dei protagonisti della vicenda agisce infatti in un modo che secondo la nostra morale sia “corretto”: non ovviamente gli abitanti di Sodoma, non la moglie di Lot che disobbedisce sfacciatamente all’esplicito ordine divino, non le figlie che ubriacano il padre e lo spingono all’incesto, e nemmeno Lot stesso che si ubriaca smodatamente e abusa delle sue stesse figlie e le ingravida di una prole “bastarda”. La narrazione ha quindi un senso più coerente, come detto, se la si legge come insegnamento (attraverso un racconto a tratti volutamente paradossale e iperbolico) sulla sacralità assoluta dell’ospitalità;

d’altro canto, se lo si legge alla luce del parallelo con la narrazione del levita di Efraim, l’atto d’inospitalità che gli abitanti di Sodoma intendevano compiere sugli ospiti di Lot, e che fu punito severamente, appare come una sopraffazione di tipo sessuale verso l’ospite. Il fatto però che nel caso del levita di Efraim gli abusanti abbiano accettato la concubina al posto del levita stesso, mette in evidenza come la natura etero od omosessuale dell’abuso non sia rilevante. Nel brano di Sodoma poi, l’oggetto sessuale dello stupro avrebbero dovuto essere i messi divini, il cui carattere appunto divino sembra molto più significativo di una loro presunta maschilità nella connotazione della condanna. Non risulta quindi arduo sostenere la tesi della pura e semplice irrilevanza dell’omosessualità in questo brano biblico.

L’esistenza storica di Sodoma e Gomorra è ancor oggi oggetto di dibattito tra gli storici e gli archeologi.

Foto satellitari del Mar Morto. In giallo sono indicate le ipotetiche locazioni delle cinque città: i motivi per i quali sono stati scelti proprio questi punti sono la purezza dello zolfo (95%) e gli “anelli di fuoco” incorporati in quelli che sembrano i resti delle città.

Il geografo Strabone affermò che gli abitanti delle località vicino a Masada gli dissero che “una volta c’erano solo 13 città abitate nella regione in cui Sodoma faceva da metropoli”.

L’archeologo Archibald Henry Sayce tradusse un poema accadico in cui venivano descritte delle città distrutte da una pioggia di fuoco, scritto da una persona che era riuscita a fuggire prima del disastro; i nomi delle città in questione purtroppo non ci sono pervenuti. Ad ogni modo, Sayce in seguito spiega che il poema ricorda più che altro la distruzione di Sennacherib.

Se le due città fossero realmente esistite, potrebbero essere state colpite e distrutte da un disastro naturale. Secondo alcuni geologi per circa 4000 anni non ci sono stati segni di attività vulcanica nei pressi della pianura. Tuttavia è possibile che le città fossero state distrutte da un terremoto e questa ipotesi sarebbe presumibilmente realistica se le città fossero state situate nei pressi della Rift Valley del Giordano. Mancano tuttavia fonti puntuali sull’attività sismica a cui è stata sottoposta la zona e il periodo di tempo intercorso per avvalorare la teoria del terremoto.

Ciò di cui si è certi è che la pianura delle cinque città era situata nei pressi del Mar Morto e che è stata soggetta a delle bruciature, come riportato da segni evidenti sulla sua superficie, e inoltre sono presenti tracce di zolfo.

Secondo recenti studi si trovano ipotesi che la distruzione di quei paesi sia dovuta ad uno sciame meteoritico, di cui la meteora piu’ consistente si schianto’ a Ginevra.

L’asteroide che distrusse Sodoma e Gomorra

5135 anni fa, precipita sulla Terra il meteorite che avrebbe dato origine al mito greco di Fetonte e alla celebre narrazione.

Ogni notte la stessa storia. Sedere all’aperto, in cima a una torre, e registrare accuratamente la posizione delle stelle, dei pianeti e delle nuvole. Questo era il compito di un ignoto astronomo sumero vissuto oltre 5mila anni fa. Quella notte però, anzi quella mattina, non sarebbe stata come tutte le altre. Stavano infatti per spuntare le prime luci dell’alba del 29 giugno 3123 a.C.,  quando in cielo comparve improvvisamente uno strano oggetto che lui stesso descrisse come una “ grossa ciotola di pietra bianca che vigorosamente sorvolava il cielo”.

Dell’attento osservatore si sono poi perse le tracce, ma le sue annotazioni sono state scrupolosamente copiate nel corso dei secoli fino a quando, nel 700 a. C., sono state incise in una tavoletta di argilla. La tavoletta poi è stata conservata nella Biblioteca di Assurbanipal (o Sardanapalo, re degli Assiri) dell’antica Ninive (vicino alla moderna Mosul in Iraq). E proprio qui, tra le rovine di questa città, nella seconda metà del 1800 d.C., l’ha ritrovata l’archeologo inglese Austen Henry Layard. Incapace di decifrarne i caratteri cuneiformi, Layard ha trasportato la tavoletta a Londra dove si trova ancora oggi, esposta al British Museum con il nome di Planisfera K8538. Osservata ogni giorno da migliaia di occhi curiosi, il suo contenuto è rimasto segreto per 150 anni.

Precisamente fino al 2008, quando  Alan Bond, direttore di una azienda aerospaziale, la Reaction Engines, e Mark Hempsell della Bristol University, riuscirono a decrittare la tavoletta e ne svelarono il contenuto nel libro “ Un’osservazione sumera sull’impatto di Köfels”.

Secondo il libro, quella grossa scodella bianca in cielo altro non era che un enorme meteorite che di lì a poco si sarebbe schiantato contro una montagna nelle Alpi Austriache lasciando nella sua corsa una lunga scia di distruzione. L’esplosione avrebbe provocato, spiegano gli autori, uno smottamento nelle rocce di cinque chilometri di ampiezza e cinquecento metri di spessore le cui tracce sono state ritrovate anni fa vicino Köfels, una cittadina della regione. L’origine di queste tracce è stata a lungo (ed è ancora) oggetto di studio e di discussione tra gli scienziati, incerti tra un impatto cosmico e un naturale fenomeno geologico.

Le scoperte di Bond e Hempsell hanno aggiunto argomenti alla diatriba e hanno messo in dubbio la datazione fino ad allora più accreditata, quella che faceva risalire lo smottamento all’8000 a.C. circa. Per formulare la loro ipotesi, i due scienziati hanno inserito i dati ottenuti dalla decifrazione della tavoletta in un computer in grado di ricostruire il cielo di 5000 anni fa e di simulare la traiettoria del meteorite. Secondo Bond e Hempsell, inoltre, nello scontro con la montagna il meteorite avrebbe generato una potenza pari a 1000 tonnellate di tritolo, producendo lo smottamento austriaco e una pioggia di frammenti incandescenti della temperatura di oltre 400°C che si sono dispersi in un’area circostante pari a un milione di chilometri quadrati.

Un evento tale da non passare inosservato, come sostengono i due inglesi, secondo i quali è probabile che oltre all’astronomo sumero ci siano stati molti altri spettatori, e che almeno una ventina di miti antichi abbiano avuto origine quella notte. I più famosi? Il mito greco di Fetonte, figlio del dio Apollo, precipitato con il carro del Sole nel fiume Eridano (antico nome del Po) e la distruzione biblica di Sodoma e Gomorra. Ed effettivamente le parole dell’ Antico Testamento richiamano una pioggia di cenere e frammenti incandescenti:

“ Allora l’Eterno fece piovere dai cieli su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco, da parte dell’Eterno; 25 ed egli distrusse quelle città e tutta la pianura e tutti gli abitanti delle città e quanto cresceva sul suolo” (Genesi, 19).

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In realta’ le citta’ del mar Nero furono giudicate per il proprio bigottismo

Il profondo mutamento della pratica dell’hospitalitas, la cui importanza è diminuita nelle società occidentali moderne, ha portato secondo alcuni a una maggiore evidenziazione del tema della trasgressione omosessuale. La quale però può essere vista come il mezzo attraverso cui si esprime la colpa degli abitanti di Sodoma, e non costituisce la colpa stessa. L’interpretazione ebraica non si è del resto mai discostata da questa interpretazione, che è chiaramente espressa in altri punti della Bibbia in cui Sodoma è nominata quale esempio d’inospitalità e mancanza di carità, e non per la sua perversione sessuale. (Si veda per un esempio Ezechiele, 16, 49: “Ecco, questa fu l’iniquità di tua sorella Sodoma: lei e le sue figlie vivevano nell’orgoglio, nell’abbondanza del pane e in una grande indolenza, ma non sostenevano la mano dell’afflitto e del povero”).

Ora sappiamo che se veniamo giudicati’ sara’ soltanto per il nostro modo di vivere egoistico..

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Sodoma nel pensiero Ebraico

La tradizione ebraica successiva alla distruzione del Tempio di Gerusalemme associa Sodoma non tanto al peccato di sodomia (per cui fu in vigore la condanna capitale espressa nel Levitico della cui esecuzione comunque non si ha notizia), quanto ai peccati di mancanza di ospitalità, egoismo, avidità e di un atteggiamento, anche giuridico, simile ad un approccio non sincero alla Torah: non l’osservanza meticolosa e partecipata della Torah, la Legge divina, ma non sincera e quindi ostinata e con fini non santi e non buoni secondo lo Yetzer ha-ra allo scopo di nuocere agli altri esseri umani. In altre parole il “peccato di Sodoma” consiste in una falsa interpretazione dell’intento nella Torah allo scopo di tradirne lo spirito.

Questi peccatori erano i più ricchi e, anziché essere grati a Dio, decisero di ribellarsi infatti furono considerati colpevoli come la generazione del diluvio universale (Talmud Yerushalmi, Baba Metzià 84, 2).

A questo proposito si veda nel Talmud di Babilonia:

Baba Bathra 12b (Ghemara) e Baba Bathra 59a (Ghemara): è citato il detto secondo cui bisogna evitare di comportarsi “alla maniera di Sodoma”, per indicare l’atteggiamento di chi osservando alla lettera la Legge creata per fare del bene, fa del male (sull’origine del detto cfr. Sanhedrin 109a-b), o più semplicemente di chi ha un comportamento ingiusto;
Sanhedrin 109a-b (Ghemara): lunga discussione su Sodoma e i suoi peccati, uno dei quali è l’”immoralità”. La mancanza di carità e di ospitalità verso gli stranieri sono trattate in gran dettaglio e “illustrate” anche con aneddoti.

Quindi tra le gravi colpe, che furono giudicate da Dio tali per poi decidere la punizione, si ricordano:

peccati sessuali, tra cui il tentativo di giacere con donne sposate e la sua realizzazione;
leggi che impedivano di essere ospitali con gli stranieri;
decisione unanime di non compiere la Tzedakah.

Tzedakah è una parola ebraica che letteralmente significa giustizia ma viene comunemente usata per significare Carità. Si basa sulla parola ebraica צדק, (Tzedeq o ancora zaddiq, Giusto) che significa giustizia di Dio, giustizia sociale o semplicemente giustizia. la Zedaqah viene vista come un’obbligazione religiosa che deve essere effettuata indipendentemente dalla situazione finanziaria, anche se si è poveri. La Zadaqah è considerata una delle tre azioni principali che possono annullare un “decreto celeste” sfavorevole, favorisce inoltre la redenzione.

Altre leggi ingiuste furono il divieto di invitare stranieri ai matrimoni, pena essere denudati (Talmud Sanhedrin 109); lasciare senza soldi gli ospiti stranieri, derubare e maltrattare gli stranieri (Bereshit Rabbah 50, 10); venivano inoltre tagliati gli alberi per impedire agli uccelli di cibarsi dei frutti (Pirkè Derabbi Eliezer 25).

Dio punì le città colpevoli assieme all’angelo Gabriele ed a 12000 angeli distruttori (Midrash Hagadol 19, 13).


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