Cosa ho imparato in due mesi di blog?

Da Marcofre

Questo non è affatto il mio primo blog (ne gestisco un altro, su piattaforma Blogger). Però qui l’argomento è ben differente, le sfide e le difficoltà pure.
Non è che se uno è esperto di Mac, e ha scritto guide e ebook dedicati a questa piattaforma, allora non ha niente da imparare. La realtà per fortuna è differente.

Dopo poco più di due mesi dall’inizio, ho fatto un breve elenco di che cosa ho imparato; non tanto sui meccanismi (come “intercettare” i motori di ricerca; i titoli “seducenti”; i contenuti che devono essere di qualità, oppure ciccia). Quanto sulla parola.
Senza dimenticare che l’età (ben oltre i 40 ormai), e anni e anni di silenzio, credo abbiano influito sulla mia capacità di migliorare, di crescere sul serio.

  • Troppi aggettivi. Come dice l’etimologia: serve ad aggiungere. Ma se si esagera col sale, il piatto è da buttare: idem per la scrittura. Meglio invece, lavorare sul sostantivo, scegliere il migliore. No, non si tratta di dichiarare guerra agli aggettivi, al contrario; occorre usarli con parsimonia, per renderli più efficaci.

  • Troppi avverbi. Altro grave difetto. Mi piacciono gli avverbi, e finisco per riempire il racconto (breve) di questo importante elemento. Non c’è nulla di più pesante che un paio di avverbi in due righe; sono in grado di ammazzare qualunque concetto, per quanto elevato possa essere (ammesso che riesca a essere elevato).

  • Frasi troppo lunghe. Non sono un dogmatico; per esempio, tutti o quasi ribadiscono che è indispensabile scrivere frasi corte, perché i lettori si perdono, sono infastiditi, non hanno voglia di inseguire lo scrittore (facessero un po’ di sport, questi benedetti lettori). Però mi chiedo se chi afferma questo abbia mai letto “Cronaca di una morte annunciata” di Garcia Marquez.

Per ultimo si bevvero la bottiglia in silenzio, molto adagio, fissando, con l’aria stordita di chi si sveglia troppo presto, la finestra spenta della casa di fronte, mentre andavano e venivano clienti finti a comprare latte senza averne bisogno e a chiedere cose da mangiare che non esistevano, con lo scopo di vedere se era proprio vero che stavano aspettando Santiago Nasar per ucciderlo.

Lungo, vero? Il punto però è un altro. Forse nella frase qui sopra un editor sarebbe intervenuto. Forse è intervenuto. Ma il suo autore ha vinto un Nobel, e una volta che si è immersi nella storia, nel fascino che emana, non si bada molto a queste cose. Il lettore se ne accorge quando rilegge la storia, e ha deciso di capire qualcosa di più sulla scrittura, i suoi meccanismi.

E poi c’è il talento. Credo che se uno ne ha in quantità industriali, possa permettersi praticamente di tutto. Garcia Marquez scrive periodi lunghi, e viene acclamato (è giusto che accada). Se ci provo io, ammazzo il lettore. Quindi devo mozzare (non il lettore però).

  • Io sul piedistallo. Uno degli errori più gravi è quando l’autore sale sul piedistallo, e pontifica. Non è necessario che accada sempre, eppure mi sono reso conto che nei dieci racconti brevi scritti da me, io ci sono eccome. Non dovrei esserci. I fatti devono parlare, e i personaggi. Se l’autore interviene, vuol dire che i fatti sono irrilevanti. I personaggi, diafani. Le parole, prive di mordente. E allora, arriva LUI, l’autore, con una parolina, una sentenza, un: “Eh, vedete come va il mondo?”.

In realtà, ci sarebbero altre cose da aggiungere, ma mi fermo qui. Di certo, più il tempo passa e più mi rendo conto che pubblicare presto, a tutti i costi, è un errore. Almeno per me.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :