Roberto Gagnor scrive per Topolino dal 2003. Ha firmato più di 140 storie Disney, tra cui Topolino e il Surreale Viaggio nel Destino e il ciclo della Storia dell’Arte di Topolino. Ha studiato regia presso i Film&TV Workshops di Rockport (USA) e sceneggiatura presso il VII Corso RAI-Script a Roma. Nel 2011 ha vinto “Talenti in Corto” con il cortometraggio Il Numero di Sharon. Il suo primo film da sceneggiatore, SommerAufDem Land, è uscito nel 2012 in Germania. Insegna sceneggiatura cinematografica all’Accademia 09 di Milano e all’ Ist. Antonioni di B.Arsizio. Collabora con Il Post, QUI la sua pagina autore.
L’intervista a cura di Federico Bottino, per Retrò Online.
Come e cosa cambia circa lo “scrivere” quando l’agognata attività intellettuale inizia, finalmente, a produrre tanto denaro quanto basta per vivere? Cos’è che fa diventare uno scrittore un “professionista”?
Innanzitutto ti passano tutta una serie di idee e convinzioni romantiche, per lo più stereotipi, della serie lo-scrittore-scrive-solo-quando-ha-voglia, di notte, sotto divina ispirazione… Tutte bugie. Lo scrittore professionista scrive sempre. Ed è proprio scrivere tanto in maniera costante, tenace che trasforma la penna di un novellino in uno strumento degno di un professionista. Tutti parlano di ispirazione e di vena artistica ma nessuno spiega che fare questo mestiere vuol dire che se quando devi scrivere l’ispirazione non ce l’hai, impari a fartela venire. E non puoi mai permetterti di arrenderti. Inizi a capire che questa professione è un’altalena emotiva: ogni tanto “scrivere” risulta la cosa più facile del mondo, altre volte la più insoddisfacente e dolorosa. Alcuni pensano che andando avanti con gli anni questo effetto a intermittenza svanisca o si smussi, ma non è così. Invecchiando, semplicemente, l’altalena continua ad oscillare da una parte all’altra, ma su piani professionali diversi. A tal proposito, ricordo sempre uno sceneggiatore di Hollywood che era solito dire “Non è che stai avendo successo… stai rischiando di fallire a livelli più alti.”. E per questo che credere in se stessi e in ciò che si scrive diventa un elemento fondamentale per andare avanti. Fiducia e disciplina, per me sono questi gli ingredienti principali di un professionista.
Fiducia e disciplina, okay. Questi gli ingredienti dello scrittore per lo scrittore. E lo scrittore per il mercato?
La mia parola d’ordine in tal caso è “versatilità”. Il monotematismo non giova quasi mai. Soprattutto nei nostri anni, così dinamici, veloci, lunatici e, perché no, anche un po’ instabili. Non si può mai sapere in che direzione andrà il mercato, per questo è importante sapersi adattare e sapersi reinventare anche in campi nuovi. Certo, la versatilità richiede sforzo e impegno ma premia.
Ti faccio il mio esempio. Io adoro scrivere per Topolino e quando devo iniziare una storia per Topolino sono felice come un bambino; e dunque, se ci sono altri impegni da svolgere, sta sicuro che inizierò dal Topo, ma sii altrettanto certo che non potrei mai fossilizzarmi solo su Topolino. Fossilizzarsi non è mai utile: non lo è né a livello economico né letterario. Sempre nel mio esempio, le altre cose che scrivo nutrono il mio lavoro su Topolino mentre la disciplina di scrittura, l’attenzione al dettaglio, la precisione che ho imparato a Topolino valorizza il mio altro lavoro.
Topolino, Topolino, Topolino. I tuoi occhi chiari si illuminano e sorridono quando nomini Topolino. E se non vado errato, lavorare per la redazione di Topolino è un sogno che coltivi fin da pargoletto, quando, metodico, ti occupavi di Topolino come accanito lettore e non (ancora) come seriale sceneggiatore. Prova a raccontarcela, questa storia d’amore infinita.
[sorride] Io sono cresciuto con Topolino. Ho imparato a leggere su Topolino. Mi piaceva da matti e, all’inizio, disegnavo tantissimo.
Non ho mai avuto un talento formidabile per il disegno, ma facevo le medie quando mandai un fax alla redazione di Topolino nel quale chiedevo a Giorgio Cavazzano consigli su come migliorare i miei disegni. Giorgio Cavazzano era (e lo è tuttora) il mio mito e allora fece la mia felicità rispondendo al fax e consigliandomi la lettura di alcuni libri americani sui fumetti per imparare. Io li comprai, ma questi erano stati tradotti male dall’inglese. Così fui costretto a imparare bene l’inglese per studiare al meglio i libri di testo. In realtà più studiavo e meno disegnavo. I disegni lasciavano piano piano spazio a scene scritte e descritte: scrivevo sempre di più e di tutto. Giunse quindi un momento in cui mi ritrovai a farlo seriamente, a livello professionale, e fu durante uno stage di sceneggiatura presso la RAI che incontrai due sceneggiatori Disney: Giulia Conti e Giorgio Martignoni. Chiesi loro se potessi mandare dei soggetti alla redazione. Spedito il materiale, la redazione mi rispose quasi subito e iniziai dunque, con immensa gioia da parte mia, a far parte della redazione di Topolino. E’ lì che ho imparato davvero. Non avendo frequentato la scuola interna alla ex Accademia Disney, ho dovuto imparare quasi da autodidatta, studiando per conto mio, scrivendo tantissimo, sbagliando tantissimo e facendomi bocciare soggetti su soggetti. Come si suol dire, ho imparato con le cattive. Il mio entusiasmo era e continua ad essere intatto come quando ero bambino e, mentre ingranavo con le sceneggiature e imparavo il mestiere, mi accorsi che, invece, c’erano alcune cose che grazie al mio amore senza tempo per Topolino mi riuscivano molto facili e naturalmente, come il linguaggio, il rispetto per i personaggi , l’amore per i personaggi (perché se non ami i personaggi di Topolino, non puoi scrivere per Topolino).
Giuro che non sei il primo adulto a cui luccicano gli occhi quando si parla di Topolino. Siamo sicuri sia un fumetto per bambini?
In teoria Topolino è un fumetto per bambini: il nostro target e 8-10 anni. Nella pratica è un fumetto per tutti. A qualsiasi età si legge Topolino, infatti abbiamo una fortissima percentuale di adulti fra i lettori. Questo però, oltre ad essere bellissimo, è anche una matrice di complicazioni per noi sceneggiatori, perché bisogna saper usare un linguaggio assolutamente democratico, che non annoi gli adulti ma che sia rivolto (formalmente) ai bambini. Il che non vuol dire scrivere cose necessariamente semplici o forzatamente banali, perché i bambini non vanno trattati come sciocchi: capiscono tutto, se gli si danno spunti interessanti comunicati in maniera intelligente. La difficoltà sta proprio in quello. Però me la sento di dire che se impari a scrivere per Topolino, poi tutto il resto è facile.
Approfondiamo il Topolino letto dagli adulti. Quanta “satira” (se così vogliamo chiamarla) c’è in Topolino, le cui storie vengono ambientate in una società antropomorfa?
Beh, un po’ ce n’è. E’ inevitabile per certi versi, quando si parla o ci si riferisce a cose del mondo reale. Poi sicuramente c’è anche, in parte, l’idea di accompagnare con Topolino i grandi argomenti dell’attualità. Sicuramente l’intenzione non è quella di fare satira ma di scrivere storie di Topolino; essendo però il mondo reale il serbatoio dal quale si attingono le idee per dare vita alle storie, la satira diventa un ingrediente obbligato per leggere la società, senza scadere nella polemica.
A proposito di polemica, ma Topolino e Minnie non sono sposati. Dunque convivono!?
Topolino e Minnie sono fidanzati. Di certe cose i personaggi di Topolino non accennano neanche e noi sceneggiatori ci troviamo nel mezzo di una convenzione che dura da quasi un secolo. Per quanto la società guardi ad un antropomorfismo certe cose proprie dell’uomo non vengono (volutamente) trattate dai personaggi, ad esempio il sesso. Ma anche la malattia, la religione e la politica sono assenti. E devono esserlo. Alcuni se ne lamentano e considerano l’omissione come una limitazione. Invece è il contrario: i personaggi di Topolino acquistano un valore universale proprio perché non vestono nessuna casacca. Nessuna. Topolino è di tutti e deve rimanere di tutti. Capisci quindi la responsabilità che ne consegue: se scrivi male una storia di Topolino stai rovinando un qualcosa che invece è bello da 80 anni.
Eppure l’assenteismo di certe tematiche sociali e/o politiche potrebbero lasciare presagire un disimpegno sociale a difesa di personaggi astratti che devono rimanere intonsi. E’ così?
Sì e no. Il fatto è che Topolino a suo modo fa politica, ma è una politica individuale che quasi sfocia nell’educazione civica. Topolino non butta cartacce per terra. Topolino non taglia la coda. Magari la taglia Paperoga ma viene subito sgridato. Gastone non la fa perché è fortunato. Pippo non sa dov’è la coda. Paperino trova già chiuso. Questa per me è politica: il rispetto di alcune regole naturali che ci rifletti su e pensi “basterebbero quelle”.
Insomma non dovrebbe essere Topolino a schierarsi per un’ideologia, bensì dovrebbe la politica schierarsi dalla parte di Topolino?
Assolutamente sì. Un humus base di regole di convivenza civile che devono essere intramontabili, poi si dovrebbe partire da lì per costruire. Se tu leggi una storia di Topolino degli anni ’30 e la paragoni ad una scritta ieri, ti accorgerai che Topolino ha una sua dirittura morale e che è sempre la stessa. Vorrei poter dire la stessa cosa della politica…
Quindi è l’universalità la chiave dell’eterna giovinezza di Topolino?
Sicuramente i valori a cui fanno riferimento i personaggi Disney sono concetti che vanno oltre il tempo e la società. Una gag satiresca, ad esempio, fa ridere qui e ora. Fra dieci anni nessuno la capirà. Topolino esercita il discorso contrario.
Ma quindi il fine ultimo di Topolino vuole essere paideutico oppure ludico? Non puoi rispondere “entrambe”.
Assolutamente ludico… ma anche paideutico! [ride] Le due cose sono imprescindibili.
Certo, devi far ridere. Alcune storie nascono da un’idea sciocca che ti fa ridere quando la pensi e continua a farti sbellicare mentre la scrivi. Il fatto è che quando hai a che fare con dei personaggi, già consolidati nel tempo, che incarnano certi valori umani (ed è qui l’antropomorfismo di cui parlavamo) è ovvio che la narratio seguirà uno svolgimento che ha un qual ché di morale. Non essere coerenti circa i personaggi e la loro moralità vorrebbe dire tradire il personaggio.
Per farti un esempio, io non sono d’accordo con alcuni ritratti risalenti agli anni ’70 che dipingono Paperon de’ Paperoni, oltre che come un uomo d’affari, anche come un “fregone” truffaldino. Questa descrizione è sbagliata. Infedele al personaggio. Paperone è un uomo d’affari, ogni tanto gioca ruvido, ma mai sporco. Per questo è stato inserito l’antagonista Rockerduck, proprio per rimarcare la genuinità di Paperone. La figura di Zio Paperone vuole infatti incarnare il valore del self made man (carissimo alla cultura americana) che tirandosi su le maniche e lavorando sodo tira su una vera e propria fortuna. Quello di Paperone è un impero fondato sull’iniziativa imprenditoriale e sulla fatica del lavoro. In una storia Paperone perde la memoria e dunque viene privato di ogni sua fortuna. Lui cosa fa? Ricomincia la sua scalata da capo, senza demordere o scoraggiarsi. E ci riesce, perché è Paperon de’ Paperoni.
Quindi, per concludere, sì, è innegabile la presenza di una vera e propria paideutica in Topolino.
Concludiamo. Dato il valore paideutico, qual è il più bell’insegnamento che trasmette Topolino?
Topolino insegna che tutto è possibile, che tutte le cose sono possibili e ognuna di queste può essere fatta se ci si impegna a dovere, senza mai dare per scontato che fare quella qualsivoglia cosa sia impossibile, che è un atteggiamento molto italiano. L’ho vissuta io quando cercavo di fare questo lavoro: tutti che mi dicevano “Vuoi fare lo sceneggiatore Disney? Figurati se ci riesci, impossibile!”. E’ tipico dell’Italia la critica a chi prova e fallisce. Quando invece da mettere alla gogna non sarebbe chi fallisce ma chi non vuole provare. Beh, eccomi a dire no. No, non è impossibile. Si deve sudare sette camicie, bisogna prendere tanti pullman, tanti treni, tanti aerei e si deve lavorare tanto su se stessi. Sicuramente Topolino è un esempio di questa buona tenacia perché è un entusiasta curioso del mondo. Magari Topolino non è molto talentuoso in qualcosa, ma sta zitto e prova, si impegna, e magari ci riesce pure meglio degli altri che stavano lì a guardare, aspettando che capitolasse.
L’Italia ha bisogno di questo e Topolino lo incarna molto bene.
Fotografia gentilmente concessa da Roberto Gagnor
Pagina autore su topolino.it di Roberto Gagnor.