Oggi la stampa internazionale è tutta impegnata a commentare una frase del presidente Erdoğan, estrapolata da un lungo discorso pronunciato nel corso di una conferenza sulla violenza contro le donne e sulle strategie per contrastarla: ha esaltato la maternità, ho detto un mucchio di cose, ha contestato quella che nel linguaggio impegnato può essere definita "parità di genere" (e se l'è presa col femminismo). L'interpretazione dei media: Erdoğan è musulmano, vuole relegare la donna a una condizione di formale subordinazione nei confronti dell'uomo.
Il problema con quest'interpretazione - al di là dei soliti giochini delle agenzie di stampa, quotidianamente orientate a sollevare il polverone - è che ignora completamente quelle che sono le politiche messe in atto dal governo del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp). Perché se da un lato è vero che la retorica politica considera la donna prevalentemente come membro di una famiglia, che ci sono stati dibattiti infuocati su possibili ripensamenti sull'aborto o uscite infelici di qualche esponente di peso del partito (il vice-premier Arınç sulle donne che ridono sguaiatamente in pubblico), restrizioni tangibili e pesanti nei diritti delle donne - nei 12 anni di governo del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) - non ce ne sono state.
Anzi, sono stati avviate programmi molto incisivi proprio per combattere la violenza contro le donne - piaga non recente, ma ben ancorata nelle mentalità e nei comportamenti - e per incentivare l'occupazione e l'imprenditorialità femminile. Proprio qualche giorno fa, ad esempio, il vice-premier Babacan (coordinatore delle politiche economiche) in occasione della presidenza turca del G20 nel 2015 ha proposto di istituire un W20: così da dare visibilità al grande contributo che le imprenditrici donne danno allo sviluppo.
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