Dell’uomo che non legge libri, apparso ieri sulle pagine di Repubblica, ho parlato su Finzioni un’oretta fa.
Premesso che credo davvero che sia necessario, a questo punto, rivedere i canali attraverso i quali la cultura viene diffusa, in ogni sua forma, nell’articolo ho evitato di esprimere davvero quella che è la mia opinione e di essere il più oggettiva possibile (ok, qualcosina mi è sfuggito, ma poco).
Comunque.
Secondo me c’è una grossa contraddizione di fondo data principalmente dal fatto che il suo è un pregiudizio: ha letto, di fatto, tre libri in tutta la sua vita. Nessuna delle tre volte, a quanto dice, si è annoiato.
Ok, non ricorda per niente la commedia di Shakespeare, ma ci può stare.
E allora, visto che ha letto solo tre libri e nessuna delle tre volte si è annoiato, come può dire che leggere lo annoia? Semplicemente, è convinto che sia così?
E ci può anche stare il fatto che non abbia interesse a leggere romanzi: può non interessargli leggere storie narrate da altri. Continuo a pensare che non abbia, in concreto, l’esperienza adatta per esserne così convinto, ma amen. Ognuno ha i suoi gusti. Gli fa schifo a pelle, va bene.
Il punto, però, è che la lettura è fatta anche di saggistica. Che trasmette nozioni, più che emozioni. Nozioni che, scusate se mi permetto, un diplomato al Conservatorio non può non conoscere.
E ok, magari le ha apprese attraverso altri mezzi. Lui poi, come da una parte è giusto che sia, la musica la sente con il corpo, la suona con il corpo, la comprende col corpo. Ma dire che per conoscere Mozart basta la sua musica perfetta è uno dei cliché più vecchi e abusati di sempre. Per conoscere Mozart in tutto e per tutto devi conoscere il contesto. E questo vale anche per Beethoven.
O per Caravaggio.
Conoscere Mozart senza aver letto i libretti di Da Ponte, senza aver compreso il legame tra musica e parole, non si può.
Dire di conoscere davvero Beethoven senza aver mai letto qualcosa scritto di suo pugno (al di là degli spartiti) è da presuntuosi. Capire la musica e conoscere la musica sono due cose ben diverse che dovrebbero poter coesistere. D’altronde, capiamo la musica già nel ventre materno.
È un po’, deviando dal discorso, come trovarsi di fronte a uno di quegli scrittori che dicono di non leggere mai. O, meglio ancora, a quegli scrittori che trattano la scrittura come una scienza infusa: loro sanno scrivere per grazia divina, non hanno bisogno di studiare.
Ecco. Il Non Lettore, qui, conosce Mozart, tutto Mozart, perché sì.
Poi certo, può aver appreso tali nozioni anche attraverso altri canali. Spiegazioni dei docenti, film, documentari. Ma che ci piaccia o meno, le nostre fonti, le fonti più complete, attualmente sono scritte.
Se devo preparare un documentario su Mozart, vado a documentarmi sui libri.
Se devo spiegare a una classe l’uso del colore effettuato da Caravaggio, il suo sviluppo, vado a documentarmi sui libri.
Se devo scrivere una tesi, soprattutto in materia umanistica, sputo sangue sulle fonti. Scritte.
Sarò sincera: anche a me, a volte, leggere non rilassa. Spesso lo faccio per abitudine o, addiruttura, se sono molto stanca a un buon libro preferisco una serie tv. C’è da dire che, da studentessa, passo la giornata sui libri e arrivata a sera mi escono dalle orecchie, ma questo non basta a giustificarmi.
Ma lo posso dire con cognizione di causa, a differenza di chi lo afferma per partito preso.
L’errore più grande, gusti personali a parte, è partire dal presupposto che la lettura sia un’imposizione. La lettura deve essere piacere. Deve farti evadere. Deve trasmetterti qualcosa.
Può non essere così. Ma per dirlo devi aver provato.
E il Non Lettore, da quanto traspare dall’articolo su Repubblica, leggere non sa proprio dove stia di casa.