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Cosa stiamo qui a fare?

Creato il 04 aprile 2011 da Duffy
Più ci penso e più mi sembra sempre più ovvio, viste anche l’ultima tendenza di Google, che vuole introdurre il fattore “mi piace” nel proprio quadro d’azioni.
Ieri un mio amico ha detto a un altro:“Avevo notato quel (dato dettaglio) sui tuoi pantaloni, ma non ho potuto cliccare mi piace”.
Nella battuta c’è tutta la verità dell’abitudine ormai diffusa di poter dire la propria su tutto quello che si trova online. Cosa che nella vita quotidiana non c’è dato fare, o almeno non così facilmente.
Riflettendo nella veste di chi deve dare massima visibilità a chi ha un’impresa, o associazione, o qualsiasi cosa voglia sia notata, seguita e scelta; mi convinco ogni giorno di più che è il prodotto a valere. Gli strumenti per farlo, soprattutto online, sono numerosissimi, geniali, a volte a buon prezzo, e necessitano solo di essere scoperti.
Ma non ci si può perdere in quel mondo, ed io non ne ho nessuna intenzione: quello che fa il cliente è la cosa più importante, e come io lo metto in mostra è quello che lo fa scoprire. La Romagna sa vendere tutto, le Marche no. Come si vende il prodotto, e si pone il venditore, e cosa vende. Questo è il nòcciolo.
Il cosa vende, però, porterebbe subito ad una discriminazione. Se è vero che non voglio fare web marketing per narcotrafficanti, è pur vero che tutto è relativo: ognuno ha dentro di se qualcosa di buono, basta scoprirlo, come c’insegnava Pollianna. Così chi lavora ha sicuramente il suo punto forte, ma spesso lo presenta male, lo sottovaluta, lo tiene in ombra.
Io vedo la mia professione molto più simile a quella di un buon avvocato: il cliente mi deve dire tutto, anche quello che vorrebbe nascondere al suo interlocutore finale. Sta a me non divulgare le sue strategie di vendita e produzione, o qualsiasi dato sensibile. Meglio io lo conosco, e meglio posso impostare la sua vetrina sul mondo.
Facciamo un esempio: è inutile che il cliente mi dica che vuole buttarsi sul mercato estero, e mi fa creare una campagna in quel senso, ma non mi confida che nella sua azienda non c’è una persona che parli inglese. Quando gli arriveranno le prime richieste da fuori confine, farà una figura tapina, e il mio lavoro sarà stato inutile, perché mal impostato.
La nozione, inoltre, che essere al primo posto di Google è indispensabile è di per se sterile, vuota, ma che ha senso se si visualizza in un’ottica di interazioni: sto lì perché molti mi leggono, perché molti riportano quello che dico o faccio ad altri (i link), e perché molti mi scelgono. MI SCELGONO.
Si lavora online solo perché la gente compra e sceglie online, perché è uno strumento che ha preso campo, come una volta il giornale o la tv, non perché il fine sia quello. IL FINE E’ VENDERE, ADERIRE, SCEGLIERE, o come lo volete chiamare, NELLA VITA REALE.
Allora inutile pensare solo in termini tecnici, utilizzando molti mezzi, ma non pensando abbastanza al cosa e come. Il processo di Seo ed ottimizzazione è fatto di tante cose ed è utilissimo.
Il testo giusto, il formato, le parole chiave, l’inserimento nei motori di ricerca.
Se io, però, a un cliente parlerò di Seo, a meno che non è già esperto, gli farò apparire un bel punto interrogativo sopra la testa.
Se parliamo di come far si che la gente lo raggiunga e scelga, in mezzo a tanti altri come lui, e noi abbiamo studiato a fondo la sua situazione, trovato peculiarità che lo fanno spiccare, come ad esempio l’essere l’unica ditta di serramenti della provincia a fornire un ottimo servizio di preventivi online, e di avere come punto forte un buon approccio con il cliente, allora ci capiremo. Non solo con lui.
Ci vedremo più chiaro noi che dobbiamo creargli il consenso. Perché sapremo che una sua qualità s’esplicita online, l’altra il cliente la può scoprire solo con un contatto diretto, e da qui avremmo le idee chiare su cosa fare e come.
Non basta che io mi faccia un’idea generale su come trattare un dato business, per poi ricalcare il processo ogni qualvolta mi si ripresenti lo stesso tipo di attività.
Per certi aspetti questo discorso è valido, perché so che ad un albergo serviranno sempre certi dati strumenti. Ma nel lavoro pratico, nello studio della campagna, devo abbandonare ogni schema e approcciare il cliente come fosse il primo del suo genere: solo così potrò capirne io le peculiarità, per poi mostrarle al meglio agli altri.
Ecco cosa penso del mio lavoro, come lo vorrei condurre. Nel mio team l’aspetto puramente tecnico non è di mia stretta competenza, ma quello con il contatto con il cliente e la creazione sì.
Penso di condurlo nella maniera sopra descritta, perché si tratta di rapporti umani e commerciali, e il fattore tecnologia è solo strumentale. Se devo lavorare in un negozio, non mi focalizzerò sullo studio del registratore di cassa, anche se è fondamentale che io lo sappia usare, e se qualcuno nel negozio sa anche aggiustarlo, ancor meglio. Ma il mio compito è vendere, far venire più gente possibile e interagire con loro. Questo è il mio fine. Io non me lo scordo, siate sicuri di questo quando mi venite a cercare.

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