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La risposta la possiamo anticipare con un esempio: è come se avessimo vestiti logori e strappati, che lasciano passare il freddo, e come soluzione ci venisse in mente di buttare
via i nostri vestiti e volersi rimettere la tutina di quando eravamo neonati perché ci ricordiamo come era comoda e calda. Il risultato finale rischia di essere una polmonite, anziché un raffreddore.
Diversi analisti (non solo economici, ma anche politici) hanno analizzato l’effetto di una possibile uscita della Grecia dall’Euro, e di un suo ritorno alla dracma. Innanzi tutto, la prima cosa che avverrebbe sarebbe una fuga degli investitori esteri: un ritorno alla moneta locale avrebbe lo scopo chiaramente evidente di pagare i debiti tramite svalutazione (e inflazione), e ovviamente gli investitori non sono così sciocchi da non rendersi conto che questo di fatto equivale ad un default (come abbiamo già notato in passato, se ti ripago solo metà del debito, oppure te ne ripago lo stesso valore nominale con una moneta che però vale la metà, non è che sia poi così diverso).
Rispetto ad un default “in Euro”, le conseguenze sarebbero però aggravate dalle conseguenze sugli scambi di valuta, anche semplicemente per la “fuga” dei capitali (tralasciando possibili speculazioni) che alzerebbe l’offerta di dracme rispetto alla domanda, con la dracma che in brevissimo tempo potrebbe trovarsi a valere poco più che carta straccia.
In parallelo, sarebbe già iniziata una fuga dalle banche, con i risparmiatori più accorti (che solitamente sono quelli che hanno i risparmi maggiori) che cercherebbero di ritirare euro o altra valuta forte prima del passaggio alla dracma, con il fenomeno che si amplifica man mano che la dracma inizia a svalutarsi, mettendo in difficoltà i conti delle banche, suscitando ulteriori timori e incrementando ancora la fuga dalle banche.
Il sistema creditizio si bloccherebbe, nel migliore dei casi, con le banche impossibilitate ad erogare ulteriori prestiti, ed anzi nella necessità di rientrare il prima possibile di quelli erogati. Molte imprese, già in difficoltà, si troverebbero in crisi, rischiando seriamente la chiusura. Anche i privati difficilmente potrebbero ottenere prestiti, anche per le crescenti prospettive di disoccupazione. Sarebbe forse impossibile per lo Stato intervenire per “salvare” le banche in difficoltà, dato che difficilmente avrebbe risorse sufficienti, con il rischio concreto di fallimento di una o più banche, che potrebbe generare una reazione a catena alimentata dal panico.
La disoccupazione nel frattempo aumenterebbe, sia per le difficoltà delle imprese (che potrebbero sì contare su un rapporto di cambio favorevole alle esportazioni, ma le materie prime importate arriverebbero ad avere costi proibitivi), che per quello dello Stato, che potrebbe non essere in grado di pagare stipendi pubblici e pensioni, dato che avrebbe grosse difficoltà a ottenere prestiti dal mercato, piazzando titoli di stato.
L’inflazione raggiungerebbe valori a due cifre, alimentata sia dall’aumento di moneta immessa sul mercato (moneta “stampata” per pagare i debiti), e dalla svalutazione della dracma, che aumenterebbe notevolmente il costo dei prodotti importati.
Il paese rischierebbe di scivolare velocemente nel caos, in preda a forti tensioni sociali causate dalla disoccupazione e dall’inflazione. Alcuni analisti si spingono oltre, e analizzano anche l’aspetto politico, ritenendo a questo punto verosimile che il caos renda il paese completamente ingovernabile, spingendo i militari a prendere il controllo del Governo. fonte
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