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Sarà per il tono freddo del racconto, sarà per una fotografia che pur rappresentando il reale è quasi assente, ma pur raccontando una storia d’amore o forse è meglio dire d’adulterio ai tempi della crisi dei nostri giorni, a me questo film di Silvio Soldini, “Cosa voglio di più” non mi è affatto piaciuto.
Anna (Alba Rohrwacher) e Domenico (Pierfrancesco Favino) vivono in quell’immenso non-luogo (per dirla alla Marc Augé) che è l’hinterland milanese, fatto di casermoni tutti uguali, tratti di tangenziale, di centri commerci, di alberghi a basso costo, di motel anonimi con stanze leopardate per scambisti e amanti passionali. Anna e sposata con Alessio (un Giuseppe Battiston sopra le righe) e vive una vita abbastanza felice, con un lavoro in centro a Milano e un uomo dedito al suo benessere nonostante la crisi economica che attanaglia la maggior parte delle famiglie italiane; stanno seriamente pensando di avere un figlio. Domenico è sposta con prole a carico (2 figli) e lavora nel settore della ristorazione con in testa l’idea che un giorno o l’altro, prima o poi riuscirà a mettersi in proprio. Anche la sua famiglia nonostante qualche problema economico, vive abbastanza felicemente. Ma forse come qualcuno ha detto è proprio in quell’abbastanza che non è mai il tutto che matura l’insoddisfazione e da cui si cerca di evadere. Infatti approfittando di una festa nell’ufficio di Anna, Domenico responsabile del catering fa la conoscenza della stessa e in un attimo è passione pura: esplode il desiderio e in men che non si dica si saltano subito addosso. Il dubbio, la paura di essere scoperti, il moralismo prettamente italiano di tradizione cattolica però non consentono ai due di poter avere una vera e propria relazione, aperta a qualsiasi sentimento. Fra i due si insinua così l’incertezza che è stato solo un attimo di follia e cercano di ritornare ognuno alla propria vita “abbastanza” felice. Ma non ce la fanno, dopo qualche ora ognuno è già alla ricerca dell’altro e in tempi come questi dove la comunicazione si è fatta immediata, quasi un divenire delle nostre stesse esistenze, il telefonino diventa il mezzo vitale per proseguire. Così si decide di andare avanti e per i due inizia un periodo di bugie, specialmente con i propri cari ma anche con gli amici, e di trucchi estenuanti per non farsi scoprire nonostante intorno a loro ci sia già puzza di bruciato (il miglior amico di Anna e Alessio casualmente incrocia Anna con il suo amante; la moglie di lui che comincia ad avere dei dubbi sui suoi mercoledì in piscina). Seppur fra le mille difficoltà economiche (di questi tempi costa anche l’adulterio), i due decidono di trascorrere tutti i loro mercoledì in un motel per coppie clandestine (ormai prosperano come il pane nelle zone periferiche delle grandi città) concedendosi in amplessi focosi (i corpi nudi avvinti nel sesso in questo caso non ci dicono di pornografia). E’ la scossa elettrica che ti sconvolge senza preavviso, la passione che ti coglie senza bisogno che, prima, ci siano la solitudine, il dolore, lo spleen. Una passione senza perché, che si sparge in un contesto dove sembrerebbe essere impossibile. Naturalmente come tutte le passioni anche questa è destinata a scemare fra incomprensioni, paure del futuro e voglia di quella tranquillità pseudo-borghese a cui aspirano tutte le famiglie del nostro paese.
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