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Cose...

Creato il 21 luglio 2010 da Faustotazzi
Cose...
Ci sono cose che spiegano altre cose. E quando ogni tanto mi trovo a chiedermi cosa m'ha spinto fin quaggiù, a cinquemila chilometri dal mio caro padre, dalla mia famiglia e dagli  amici, lontano dall'odor del fieno, dal fruscio delle foglie, dal fresco dei cipressi, dall'umido dei fossi, dal suono del dialetto; e dalla prua di una barca che scroscia sull'onda, dal vento che scorre  sulla tela delle vele, dalle mani laboriose agli ormeggi, dagli occhi a scrutare il fondo e poi il cielo; allora, qui, da solo, teoricamente in questo deserto, dove teoricamente nessuno (eccezion fatta per una sola donna al mondo) potrebbe raggiungermi nemmen se lo volesse, ecco allora mi capita di rileggere una cosa, scritta tanti anni fa, che spiega tante cose. E tutto mi è chiaro e non ho bisogno di aggiunger niente.

“Né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né 'l debito amore lo qual dovea Penelopè far lieta, vincer potero dentro a me l'ardore ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto e de li vizi umani e del valore; ma misi me per l'alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto. 


L'un lito e l'altro vidi, infin la Spagna fin nel Morrocco e l'isola d'i Sardi e l'altre che quel mare intorno bagna. Io e' compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov'Ercule segnò li suoi riguardi acciò che l'uom più oltre non si metta. Da la man destra mi lasciai Sibilia, da l'altra già m'avea lasciata Setta. "O frati," dissi, "che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia d'i nostri sensi ch'è del rimanente, non vogliate negar l'esperïenza di retro al sol, del mondo sanza gente. 
Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Li miei compagni fec'io sì aguti con questa orazion picciola al cammino che a pena poscia li avrei ritenuti; e volta nostra poppa nel mattino de' remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. 
Tutte le stelle già de l'altro polo vedea la notte e 'l nostro tanto basso che non surgëa fuor del marin suolo. Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo quando n'apparve una montagna bruna per la distanza e parvemi alta tanto quanto veduta non avëa alcuna. Noi ci allegrammo e tosto tornò in pianto ché de la nova terra un turbo nacque e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte l'acque a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù com'altrui piacque. Infin che 'l mar fu sovra noi richiuso". 
(Ulisse, in Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto 26)

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