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Cose noiose sulla telefonata di Grasso e sulle istituzioni

Creato il 22 marzo 2013 da Danemblog @danemblog
Ieri Marco Travaglio, durante la puntata di Servizio Pubblico ha fatto delle dichiarazioni su Pietro Grasso, che non sono state proprio esempio di sobrietà e di equilibrio. E' noto a tutti, anche ai meno affezionati, quello che Travaglio pensa su Grasso. Le parole di ieri come avranno notato i più, sono semplicemente la ripetizione di un percorso logico che lega il giornalista alla questione. Premetto che Travaglio a mio avviso, è da un po' di tempo che ha oltrepassato il limite e che ormai sembra solo esprimersi per il piacere dei suoi fan. Ma questa è una mia opinione. Tattica legittima, altra opinione mia, e per certi versi condivisibile visti i buoni risultati che continua a riportare a casa.
E' anche legittimo che un giornalista esprima pareri - opinioni, appunto - su una qualsiasi cosa. Le opinioni sono di solito distinte dai fatti: quando si sovrappongono c'è un grosso rischio. Rischio di cui si pagano le conseguenze giuridiche, nel caso in cui i fatti non supportino quelle opinioni e quando quelle stesse opinioni non vanno giù a qualcuno. Ma che cosa ha detto Travaglio? Se ne fa un gran parlare, ma pochi lo sanno veramente: anche Grasso in diretta telefonica ha vacillato un po' sul merito, dicendo che era stanco e che quel che aveva sentito gli era bastato. I fatti, dunque. Travaglio ha detto questo:
È chiaro a tutti che Grasso non è Schifani e Schifani non è Grasso. Il problema è che Grasso non è quello che molti grillini credono. Prima di essere magistrato, è un italiano, è molto furbo, è un uomo di mondo, ha saputo gestirsi molto bene, non ha mai pagato le conseguenze di un indagine. Si è sempre tenuto a debita distanza dalle indagini sulla mafia e la politica, si è addirittura liberato quando era procuratore di Palermo di tutti i magistrati che facevano indagini su mafia e politica, si è reso protagonista di alcuni gesti poco nobili, come rifiutarsi di firmare l'atto di appello contro l'assoluzione in primo grado di Andreotti, lasciando soli i sostituti procuratori che avevano presentato questo appello.
Poi ha aggiunto cose che riguardavano i rapporti con il centrodestra e il fatto che Grasso si sia messo in contrapposizione a Castelli, che era l'unico "nemico" di quel governo (lo dice Travaglio). Alludendo anche al fatto che proprio grazie a questa sua posizione - e a tre leggi "anticostituzionali" approvate dal governo Berlusconi - Grasso avrebbe scavalcato lo stesso Castelli nella nomina di procuratore nazionale antimafia.  Questi sono i fatti, cioè le parole di Travaglio. Fatti che Grasso durante la telefonata in diretta, ha chiesto di testimoniare davanti ai telespettatori.
Legittimo il pensiero di Travaglio, anche se adesso gli resterà un po' complicato reperire i documenti necessari a testimoniare quel che ha detto. Legittima la volontà di Grasso. Sul piano umano, però. Sul piano istituzionale no! Il problema è proprio qui, a mio avviso: l'istituzione. Da qui in poi è solo una mia opinione.   Perché il Presidente del Senato, seconda carica dello stato, non rappresenta se stesso. Rappresenta lo Stato, appunto: e lo stato etereo, al di sopra delle polemiche terrene. Mi spiego: non trovo giusto che il PresDelSen intervenga in diretta telefonica ad una trasmissione televisiva e si metta a polemizzare con un giornalista. Il PresDelSen, se ritiene necessario, affida la sua replica ad un comunicato stampa, ad una nota ufficiale, dove chiarisce quel che c'è da chiarire. Se poi ci sono gli estremi per la diffamazione, il PresDelSen procede per le vie legali, altrimenti se ritiene che il passaggio logico, sia un confronto aperto, convoca il giornalista. Sempre tramite una nota, però: non lo invita al telefono. Niente vie smart. Note e vie ufficiali, analogiche, austere.  Purtroppo in questo paese ci siamo abituati ad atteggiamenti leggeri, anche grazie ad un PresDelCons - faccio notare che da qui in poi, Berlusconi e il berlusconismo rappresentano il convitato di Pietra del ragionamento - che non tardava mai a far sentire la sua voce. Quella stessa sua voce, che veniva calorosamente accettata perché faceva audience. Ma è sull'altare di quell'audience che è stato in parte sacrificato il rispetto delle istituzioni. E capisco perfettamente che le Istituzioni di cui tanto parlo, sono state inquinate da tutto l'inquinabile in questi anni, e so come tutto l'inquinabile le abbia inquinate e come ci abbiano messo del loro  per giocarselo ai dadi quel rispetto. A questo punto, mi va di aprire anche un altro ragionamento collegato, che riguarda il quel che si può o non si può dire. Ragionamento secondo cui, anche le parole di Travaglio sarebbero irrispettose verso le istituzioni. E forse sì, ma Travaglio fa il giornalista e di solito la sua professione tollera anche la possibilità di polemizzare e di lanciare qualche provocazione. Prendersi sulle spalle la responsabilità di quel che si dice, è conseguenza. Il vero problema, è quando sono le istituzioni a non rispettare sé stesse. Faccio un esempio: le parole di Crimi, quando ha commentato le consultazioni dicendo che Napolitano, il Capo dello Stato - massima effige delle sacralità costituzionale - gli è parso (a lui e a Grillo) meno addormentato di quel che credevano. E il rispetto non riguarda Napolitano - non solo almeno -: il rispetto riguarda proprio Crimi e la sua figura di politico, rappresentante delle istituzioni, con quel ruolo istituzionale di riferimento per il Senato della Repubblica del principale partito italiano.  Crimi come Grasso, sono l'istituzione: e l'istituzione rappresenta la Democrazia, sentimento alto che non si può inquinare con il dibattito terreno. Non con questi modi, almeno. Umanamente ripeto, Grasso è condivisibile. Difendersi è un diritto. E difendere la sua persona, in questo momento può anche coincidere, con il difendere l'istituzione che rappresenta. Questo è chiaro. Ma non sto contestando tale necessità: contesto il modo. Perché  è poi dai modi, dal linguaggio, che si trasforma il contenuto. Il PresDelSenato, non è una persona come le altre. Non è uno che vale uno. Lui vale sessanta milioni di persone e, ancor di più, vale anni di storia di questo stato. Cose che non si spendono in una telefonata alla tele.
Ma la mancanza di rispetto delle istituzioni, in noi italiani è stata iniettata lentamente. Il processo è iniziato facendoci credere che la politica non valeva più niente e i pariti erano finiti, che serviva managerialità al potere. Facendo passare da delinquenti tutti quelli che non rispettavano le reciproche posizioni e invocando dittature passate. Facendoci credere che i giudici, e la magistratura, sono dei buoni a nulla, faziosi, invidiosi e rancorosi. Facendo entrare nelle Aule di governo persone dalle modeste capacità umane e dalle non irreprensibili carriere. Speculando elettoralmente sulle paure delle persone. Trasformando le trasmissioni televisive in quelle aule. Spendendo e sperperando senza una direzione. E poi siamo arrivati qua: dove il Presidente della Repubblica è visto come un nonnetto addormentato. E il Presidente del Senato   fissa appuntamenti cavallereschi in diretta TV, gettando il guanto della dignità istituzionale, sul campo dell'audience.


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