Così forse comincia il futuro

Da Brunougolini
E' cominciato, forse, il futuro. Questo dice lo sciopero di ieri. Questo auspica Susanna Camusso quando parla di voltare pagina. Una sterzata che riguarda non solo il governo messo duramente sotto accusa, ma gli stessi sindacati, chiamati a gran voce, dalla massima autorità civile e morale del Paese (Giorgio Napolitano) a ritrovare una qualche forma di unità. E un diverso futuro potrebbe coinvolgere perfino la Confindustria che proprio oggi a Bergamo, a porte chiuse, potrà fare un bilancio sui mali della crisi che ha sconquassato il mondo e che non ha certo fatto del nostro Paese e delle sue industrie un’isola felice. C’è bisogno di un salto di qualità: con una crescita dell’1,1 per cento – ha affermato Emma Marcegaglia – “non andiamo da nessuna parte”.
Sono segnali che indicano la possibilità di mettere alle spalle una fase di contrapposizione impotente tra le forze sociali. Segnali testimoniati anche da toni meno sferzanti adottati nei commenti di alcuni (non tutti) dirigenti Cisl e Uil. Condensato nella voglia, auspicata dal segretario generale della Uil Luigi Angeletti, almeno di un “clima decente”. Così, del resto, slogan e rappresentazioni nella giornata di sciopero generale, hanno evitato di prendere di mira compagni e amici di altre organizzazioni. Quell’enorme “Basta” disegnato da donne e uomini nei cortei di tante città era anche un basta nei confronti della impossibilità di un’azione comune. Un’azione capace di incidere su una politica che appare interessata a tutto (dai processi ai posti per nuovi sottosegretari) ma non all’ansia di un esercito di cassintegrati o di lavoratori in bilico nelle loro presunte garanzie. Per non parlare del dramma crescente dei precari, giovani e spesso non più giovani, posti con una scelta emblematica ma importante alla testa di molte manifestazioni. Ed era un basta nei confronti di una strategia tesa a far saltare concertazione e coesione sociale, fortemente perseguita da un centrodestra che ha scommesso platealmente sulla nascita di due “poli” sindacali. Un modo per coltivare, alla fine, l’estremismo sociale.
Un futuro nuovo, capace di uscire, dunque, dagli accordi separati e dagli scioperi separati. Non è certo immaginabile la cancellazione di colpo delle differenze grandi che albergano tra Cgil, Cisl e Uil. C’erano, però, anche nel passato e si è riusciti a farle convivere. Un sostegno vitale potrebbe venire dall’assunzione di regole certe sulla rappresentanza, sulla possibilità di coinvolgere gli interessati, i lavoratori, nella costruzione di compromessi sempre necessari. E non solo a colpi di referendum ma ricorrendo all’intelligenza, a un sapere di basi sociali mature e responsabili. Come dimostrano tanti casi.
Una data importante potrebbe essere il 18 giugno, una giornata voluta da Cisl e Uil dedicata a quel tema, la riforma fiscale, che sarà presente anche all’assemblea di Bergamo. E che potrebbe vedere, come ha auspicato la Camusso, l’adesione della stessa Cgil. Affinché davvero “paghi di più chi ha e paghino di meno pensionati e lavoratori”.
Sarà possibile? Ha osservato un altro “padre” della patria Romano Prodi, a proposito di sindacato, che “La divisione è la sua autodistruzione, al di là di chi ha ragione o torto: è un suicidio collettivo”. Ha ricordato sulla rivista on line “Eguaglianza e libertà” (diretta da Pierre Carniti e Antonio Lettieri) lo stesso Lettieri come oggi il sindacato rischi di essere la vittima designata della crisi. Eppure dappertutto, in Europa, esso reagisce unitariamente, perfino in Francia, mettendo da parte storiche divisioni. L’Europa può insegnare qualcosa.

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